Il partito-taxi di Bersani al servizio dell'ultrasinistra

Il Pd senza identità continua a sbagliare le candidature. E alle primarie gli elettori votano l’uomo di rottura. Genova, i democratici in crisi di nervi. La Vincenzi "impazzisce" su Twitter. Tra i big del partito è corsa allo scaricabarile

Il partito-taxi di Bersani  al servizio dell'ultrasinistra

Taxi driver. Sembra quasi un contrappasso. È toccato proprio a lui, Pier Luigi Bersani, figlio di benzinaio e con un passato di bracci di ferro con i tassisti, guidare un partito che assomiglia sempre di più a un taxi. Il copione sta diventando monotono. Ci sono le primarie, il Pd sceglie un candidato ufficiale, a cui si aggiunge subito una sottomarca, di fatto non sono riusciti a mettersi d’accordo. A quel punto spunta qualche personaggio fuori apparato, un outsider, con ottimi contatti con quelli che fanno opinione, radical, spesso di buona famiglia, ricco il tanto che basta, di solide letture novecentesche, visto che il suo programma è il sogno di ritornare al secolo scorso quando i posti erano fissi e lo Stato assumeva tutti.

A questo punto Vendola, primo cliente del Pd taxi srl, si alza, fischia e mette cappello sul candidato alternativo. Che succede? Il Pd immancabilmente viene sconfitto. L’outsider dà ragione alla selezione via primarie e di solito vince, grazie soprattutto ai voti del Pd. Bersani di fatto si ritrova a fare il tassista per gli uomini della sinistra vendoliana. Il prezzo della corsa è a buon mercato. Il Sel ci guadagna una presenza forte sul territorio, il Pd qualche assessorato. È successo con Vendola in Puglia, con Pisapia a Milano, con Zedda a Cagliari, Doria a Genova, potrebbe accadere a Palermo, e in fondo si può dire che anche Renzi è un’anomalia, segno che il taxi non lo prendono solo da sinistra, ma anche da destra.

Il Pd non ha una vocazione da tassista. Questa cosa gli piomba sulla testa, non è che si divertono a dare passaggi. Masochismo, allora? No, tanta confusione. Il Pd, come il Pdl, sconta l’effetto Monti. Ma questo aspetto resta ancora relativo. L’impressione è che dopo vent’anni di anti berlusconismo come unica bussola, il maggior partito della sinistra sia in forte crisi d’identità. Non sa come proporsi, vacilla, segue il vento, torna indietro, nessuno sa bene come Bersani e i suoi la pensino su questo o su quell’argomento.

Adesso, poi, dopo il caso Lusi, tesoriere di un partito fantasma, la faglia tra margheritini e diessini si sta allargando, con quelli come Fassina che guardano a un’Europa socialista e gli altri come Gentiloni che rivendicano un passato democristiano. E Bersani che va da una parte all’altra con la speranza di salvare una poltrona senza futuro.
In tutto questo il grande paradosso è un partito grasso e pigro in cui i suoi elettori continuano a votare alle primarie i candidati del vicino di casa. Il partito ci mette i voti, gli altri si prendono il palcoscenico.

Il Pd ha il sex appeal politico di un bradipo ubriaco. Al massimo fa tenerezza, ma di solito nelle sue espressioni più ciniche provoca solo antipatia. Alle primarie perde sicuramente per errori tattici, la moltiplicazione dei candidati più o meno ufficiali, ma non solo per questo. Molti elettori del Pd, per una scelta anche un po’ blasé, alla fine finiscono per votare il candidato di frontiera.

È un modo per dire no a un apparato che puzza di burocrazia, di casta, di soliti nomi, di una rottamazione che non c’è mai stata. I candidati ufficiali sono sfigati, almeno in apparenza. Sanno di sconfitta. Non hanno identità, appunto. Gli altri, i Vendola, i Pisapia, i Doria, propongono ricette vecchie per problemi nuovi. Alla lettera potrebbero essere definiti tranquillamente reazionari, nel senso che come punto di riferimento ideologico e culturale guardano al passato, ma non danno l’impressione di essere naufraghi.

E poi Vendola e i suoi fratelli piacciono al carrozzone di scrittori, cantautori, okkupanti in stile teatro Valle, dandinisti, giornalisti più o meno impegnati, preti di frontiera. Lo sfogo di Marta Vincenzi fa capire come il sindaco di Genova abbia sentito ostile la cultura di sinistra. Tanto da paragonare il suo destino a Ipazia, filosofo donna perseguitata dal «Don Gallo di turno».

Il suo sfogo arriva via Twitter: «La cultura, mi raccomando! I nostri intellettuali, i loro giovani studenti, le firme dei giornalisti, la buona borghesia!». Tanti punti esclamativi per raccontare una verità molto semplice. Tutta questa gente sale sul taxi del Pd e scende da un’altra parte. E a Bersani non resta che aprire lo sportello: «Serve una ricevuta?».

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