È probabile che la maggioranza degli italiani il 21 agosto 1964 avesse dimenticato l'esistenza di Yalta o non avesse più sentito parlare della località balneare in Crimea in cui, tra il 4 e l'11 febbraio 1945, si riunirono Stalin, Roosevelt e Churchill per accordarsi sull'ordine internazionale alla fine della Seconda guerra mondiale. Eppure quel giorno di fine estate a metà degli anni Sessanta, la cittadina dell'Unione sovietica tornò al centro delle cronache. All'età di 71 anni, dopo essere stato colpito da un grave ictus e da un'emorragia cerebrale, moriva una delle figure chiave della politica italiana, il segretario del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti. I pensieri dei suoi ultimi giorni di vita sono raccolti in un volume destinato a diventare un testamento spirituale, il Memoriale di Yalta, scritto in preparazione a un incontro con Chruscev che non avverrà a causa della morte prematura.
Oggi, a sessant'anni dalla sua scomparsa, è arrivato il momento di fare un bilancio della sua esperienza politica soffermandosi soprattutto su un tema tornato di attualità negli ultimi anni: il rapporto tra politica e cultura e il dibattito sull'egemonia culturale. In realtà, la bibliografia su Togliatti è ingente a cominciare dalla biografia di Giorgio Bocca mentre è utile per approfondire il suo legame con il mondo della cultura il libro di Albertina Vittoria Togliatti e gli intellettuali (Carocci, 2014)
Ma è lo stesso segretario del Pci che in vita si è reso protagonista di una cospicua produzione editoriale di cui buona parte dedicata proprio a indagare il rapporto tra il partito e gli intellettuali. Editori Riuniti ha raccolto i suoi interventi più importanti in un volume intitolato La politica culturale (1974) ma è significativa anche la biografia di Antonio Gramsci scritta dallo stesso Togliatti ed è proprio il suo rapporto con Gramsci a meritare un'attenzione particolare.
Nel dopoguerra Togliatti vuole rendere il Pci un grande partito di massa, per farlo è necessario centrare un duplice obiettivo: «far entrare i comunisti dentro lo Stato per la conquista graduale della egemonia politica e assicurarsi, al contempo, l'egemonia culturale». Un progetto che non può prescindere dal recupero della figura di Antonio Gramsci nonostante il rapporto tra i due, finché Gramsci era ancora in vita, fu tutt'altro che idilliaco. Dall'anno dell'arresto nel 1926 fino alle morte nel 1937, Gramsci non scrive al segretario del suo partito né riceve lettere da Togliatti. Secondo Ignazio Silone: «erano intellettuali con le gelosie degli intellettuali». Nonostante ciò, Togliatti fa pubblicare sulla stampa di partito articoli in sua difesa come Antonio Gramsci, un capo della classe operaia su Stato operaio nel maggio 1927 e un appello su l'Unità. Eppure i compagni russi, a cominciare da Stalin e dall'Internazionale, non dimostrano per la liberazione di Gramsci lo stesso interessamento avuto per altre figure come Dimitrov o Rakosi. È solo dopo la morte del pensatore sardo che Togliatti inizia a immaginare un grande progetto politico/culturale che si concretizzerà nel dopoguerra. Si tratta della pubblicazione delle Lettere dal carcere (Einaudi) di Gramsci nel 1947 e tra il 1948 e il 1951 dei Quaderni (Einaudi), un'operazione sia in grado di favorire il rapporto tra il comunismo e gli intellettuali sia di ampliare il consenso attorno al Pci. L'iniziativa, come ricorda il volume collettaneo Togliatti editore di Gramsci (Carocci, 2005), è portata avanti dallo stesso Togliatti che alla morte di Gramsci attiva il Comintern affinché i suoi quaderni siano portati a Mosca.
La pubblicazione nel dopoguerra dei Quaderni dà il via, come scrive Francesca Chiarotto nel suo libro Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell'Italia del dopoguerra (Bruno Mondadori, 2011), a un preciso programma politico per costruire un'egemonia comunista in Italia. La volontà di utilizzare Gramsci, il più noto ma anche il più eterodosso tra i pensatori comunisti, come uno strumento per ampliare il consenso del partito, è testimoniata anche dalla scelta di pubblicare i Quaderni con la casa editrice Einaudi. Si verifica così una saldatura tra politica e cultura e gli intellettuali assumono un nuovo ruolo non più di semplici simpatizzanti ma di figure organiche che intervengono anche nella polemica quotidiana. In tal senso, come ricorda Paolo Alatri nel suo libro Intellettuali e società di massa in Italia (da Incontri meridionali, 1980), si afferma la tendenza «a chiedere agli intellettuali, o almeno ad alcuni di essi, qualcosa di più: che diventino tanto organici alla classe operaia da assumere in prima persona compiti anche direttamente politici». È proprio questo soprattutto nei primi anni del dopoguerra il principale errore di Togliatti, non accettare posizioni non organiche, impedire posizioni di fronda. In parole povere soffocare la libertà di critica che appartiene per definizione alla cultura. Ciò che irritava più Togliatti, scrive la Chiarotto, era «la negazione dell'autorità del partito in materia culturale, il rischio di un'eccessiva libertà di ricerca e di indirizzo che poteva compromettere il percorso politico comunista». Una tendenza che emerge in particolare in due occasioni: la polemica con Vittorini sul ruolo di Politecnico e i fatti del 1956.
Alla rivista Rinascita, vero e proprio organo di partito, si affiancano altre riviste con posizioni non organiche come Società diretta da Ranuccio Bianchi Bandinelli e soprattutto Politecnico di Elio Vittorini la cui linea editoriale è giudicata dal partito troppo indipendente. Ma è l'intervento sovietico in Ungheria con la presa di posizione ufficiale del Pci a sostegno dell'Urss nel 1956 a generare un vero e proprio terremoto con la fuoriuscita dal partito di alcune delle principali voci del mondo della cultura di sinistra e la realizzazione del celebre Manifesto dei 101.
Si pone così una più ampia questione che riguarda la libertà e l'autonomia della cultura. Le richieste di una progressiva autonomia della cultura diventano un tema centrale nelle riflessioni del partito ma con il '56 comincia a venire meno il monopolio della cultura marxista identificato con il Pci.
Tornare indietro non sarebbe stato più possibile anche perché era morta la figura dell'intellettuale sostituita dal tecnico.
Tramonta così la visione crociana-gentiliana del primato della cultura umanistica sostituita dalla tecnica, una nuova stagione di cui Togliatti intravede solo gli albori. Chissà cosa avrebbe pensato del primato della tecnica edella cultura woke, lui che fu segretario di un Partito che proponeva la rivoluzione ma difendeva posizioni e battaglie che oggi definiremmo conservatrici.
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