Patricia Duncker e l’erotismo vestito di «noir»

Una scrittrice spietata. Patricia Duncker (di padre giamaicano e madre inglese), nella sua ultima raccolta di racconti Sette storie di sesso e morte (Neri Pozza, in libreria dal 15 febbraio) non guarda in faccia nessuno. Anzi, no: guarda bene tutti in volto per poi descriverli in modo tagliente, così vero e profondo da far male, certe volte, al lettore. A meno che il lettore sia molto intelligente, in grado lui stesso di radiografare i tumori del mondo. La cattiveria non è in chi guarda, ma in chi è guardato. Verità impietosa, ma verità.
La Duncker, autrice di tre romanzi, mette in relazione la passione erotica (ma non solo quella) con la morte. Un connubio antico, è vero, ma riproposto in chiave moderna. Il che poi significa che l’eros spinto o estremo sfiora il mai immobile confine tra vita e morte. Significa inoltre che il sesso oggi è uno dei perni della nostra esistenza, sia quello praticato sia quello «ascoltato» e assorbito dalla finzione e dalla pubblicità.
In uno dei migliori racconti (Armi leggere), l’autrice dà una prima botta facendo dire alla protagonista che è difficile che una donna ricordi bene un rapporto amoroso, a meno che ci sia stato qualcosa di straordinario. E rincara la dose: «Tanto, gran parte delle donne il sesso grandioso se lo immagina e basta». Il lettore-uomo a questo punto va avanti se ha coraggio. O onestà. O senso dell’humour. E, se procede, scopre che la giovane donna in questione, dopo varie avventure e grande apertura al lesbismo, si unisce a un certo Charles, noioso ma ricco. E, ricordando il romanticismo sgangherato ma vitale degli anni ribelli, dice a se stessa: «Le donne hanno sempre venduto sesso in cambio di vitto e alloggio... scagliate la prima pietra, se osate». E non solo questo: «Tra uomini e donne c’è sempre un copione»: frase di una tristezza (e crudeltà) infinita.
Lei e Charles vanno in vacanza in Francia. In un ristorante sul mare l’autrice fa scorrere una serie infinita di cose e situazioni che fanno inorridire tutti coloro che sono sopra la media almeno di una spanna: la conversazione narcisisticamente imperniata sui trucchi del management, su come conquistare clienti e mercati, la famigliola accanto coi figli chiassosi, l’uomo che ammicca e chiama «bambola» la propria compagna, e così via. Piomba poi sulla scena un uomo col mitra, un finto pescatore. «Spettrale, autorevole» quest’angelo della morte è un vendicatore. Sta dalla parte di chi non sopporta più l’horror della mediocrità. E così la morte violenta pare giusta.
Magari non giusta, ma al seguito di fantasie erotiche, è la morte che c’è nel racconto Il persecutore: una signora-bene, e ben sposata, ricorda la sua amica-amante (ai tempi del college) appena si accorge di essere seguita e spiata.

L’agguato silenzioso le dà brividi e turbamenti mai sperimentati in un matrimonio piatto. Il misterioso persecutore continua ad ammazzare donne. Tanto sangue e molte budella, ma pure tanto eros. Quello poco coniugale, per intenderci.

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