Paul Klee, quando i colori sono come le note musicali

Alla Fondazione Memmo, gli anni più significativi della sua creatività, dal 1915 alla morte nel 1940

Oltre che pittore, Paul Klee è stato anche musicista, poeta, filosofo, naturalista. Il suo occhio, come quello dell’amatissimo Leonardo che «aveva raggiunto il vertice della pittura», spaziava su tutti gli aspetti del visibile e dell’invisibile. Egli dipingeva come un musicista scrive le note, tracciava linee sottili come il poeta traccia i segni del suo sentimento lirico. Era anche filosofo con un’idea complessa e articolata della realtà, ma ancor più uno straordinario naturalista. Ai suoi studenti, come sottolinea nel catalogo Skira, Olivier Berggruen, curatore della mostra allestita alla Fondazione Memmo di Roma fino al 7 gennaio, diceva sempre: «l’artista è egli stesso natura e parte del regno della natura». Così collezionava foglie, fiori, alghe, farfalle, pietre e cristalli che studiava nelle loro forme e nei loro colori.
Nel 1914, dopo il viaggio in Tunisia decisivo per la nascita del vero Klee, confessa: «Il colore mi possiede. Non ho bisogno di cercare di impossessarmene. Il colore mi possiede per sempre, io lo so. È questo il senso del momento magico: io e il colore siamo una cosa sola. Sono un pittore». Il viaggio in Tunisia è fondamentale perché la sua tavolozza diventa luminosa e la composizione si struttura in un impianto ben organizzato. Le suggestioni cromatiche di Delaunay e il geometrismo di Cézanne sono filtrate da un artista che sperimenta non solo materiali e tecniche, ma anche e soprattutto una visione tutta sua della pittura. Opere in mostra, come Movimento di stanze a volta (1915), Costruzione di tipo urbano (1917), Con il quadrato verde e La montagna blu entrambe del 1919, sono espressione di un artista che giunge fino all’astrazione. Ma è un’astrazione, la sua, ricca di forme naturali e insieme simboliche, perché l’arte è per Klee rendere visibile l’invisibile.
La mostra romana copre gli anni più significativi della creatività del pittore, dal 1915 al 1940, l’anno della sua morte. Essa nasce dalla collaborazione con quella splendida figura di collezionista che è Heinz Berggruen, ancora oggi vitalissimo nonostante abbia superato i novant’anni. Le cinquantuno tele in mostra sono state raccolte in un lungo arco di tempo e oggi alcune di esse sono in musei come il Pompidou di Parigi, il Metropolitan di New York e lo Staatliche di Berlino. Heinz Berggruen, che ritiene Klee importante nella pittura come Kafka nella letteratura, scrive nel catalogo che la mostra di Roma realizza ciò che aveva sognato per anni: «Les Klee du Paradis», gioco di parole per dire le Chiavi del Paradiso, ma anche i Klee del Paradiso. La mostra presenta quadri fondamentali degli anni Venti quando il pittore viene chiamato da Gropius alla Bauhaus dove insegna, insieme all’amico e sodale Kandinskij, Teoria del colore. Sono anni davvero importanti per Klee che, ad esempio, esegue i «quadrati-magici» come Arazzo (1923) e Armonie di colori (1924), in cui trame e reticolati richiamano sì Mondrian e il costruttivismo della Bauhaus, ma che sono poi tutti suoi nella luminosità dei colori. D’altra parte, gli acquarelli e gli oli, ormai sempre più presenti, aspirano a una pittura che si fa composizione musicale.
Alla fine degli anni Venti il colore di Klee si fa ancor più luminoso, soprattutto dopo che a Ravenna è rimasto colpito dai mosaici bizantini. Quando nel 1931 lascia definitivamente la Bauhaus e si trasferisce a Düsseldorf, dipinge quadri divisionisti di singolare invenzione. La mostra ci propone, infine, le opere degli ultimi anni, quando dopo gli attacchi di Hitler all’«arte degenerata», l’artista ritorna a Berna.

È un Klee magico e simbolico che ne Il tempo(1933) ci dà il brivido dell’eternità e nella Zucca della cutrettola (1939) «una composizione di simboli simili a geroglifici», che ricorda l’arte egiziana arcaica. La mostra è conclusa da uno degli ultimi quadri, Il tappeto (1940), che in realtà è un’angosciosa prigione con le sbarre, ma illuminata da colori che brillano di una luce che è solo di Klee.

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