La paura dei «soviet» capitalisti

Gli Usa si interrogano: l’ambizioso Putin sta preparando una nuova Urss?

La Russia rinasce e torna a far paura. Non a tutti, beninteso. Ma agli americani sì. La loro è diventata un’ossessione, che accomuna destra e sinistra: gli editorialisti conservatori del Wall Street Journal la pensano come quelli progressisti del New York Times, mentre settimanali come Time e Newsweek si rincorrono nel pubblicare copertine in cui Putin viene descritto come un quasi dittatore con mire imperiali. Anche la Casa Bianca non risparmia bordate contro il Cremlino o perlomeno così ha fatto fino al G8 di San Pietroburgo. E naturalmente in libreria è un fiorire di saggi sullo stesso tono: l’anno scorso fece clamore quello dei due ex corrispondenti moscoviti della Washington Post, Peter Baker e Susan Glasser (Kremlin Rising: Vladimir Putin’s Russia and the End of Revolution, ed. Scribner), ora piace molto The Rulers and the Victims: The Russians in the Soviet Union, di Geoffrey Hosking, professore dell’Università di Londra. Più diretti i primi, più elegante il secondo, che viene pubblicato dalla casa editrice dell’Università di Harvard. Ma il dilemma è lo stesso: dove sta andando Putin? E soprattutto: possiamo ancora aver fiducia in lui?
Il motivo di tanto improvviso interesse per la Russia è presto spiegato: il Paese che dal crollo dell’Unione Sovietica ci eravamo abituati a considerare povero, corrotto e inefficiente (come narra con grande chiarezza Roy Medvedev nel suo La Russia post-sovietica, pubblicato da Einaudi) è diventato improvvisamente ricco, grazie all’impetuosa ascesa dei prezzi del petrolio e del gas. E può permettersi di rialzare la testa sulla scena internazionale. Fino al 2004 Mosca subiva e basta. Subiva lo strapotere di un’America capace di sottrarle la Georgia e l’Ucraina e di aprire basi militari in molti Paesi asiatici dell’ex Urss. Ora non più. Ora Putin alza la voce e si ribella, come ha fatto lo scorso inverno, quando non esitò a usare l’arma del ricatto energetico nei confronti dell’Ucraina. O ancora in Georgia, fomentando le ambizioni dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia.
Da qui la domanda che angoscia gli Usa: dobbiamo temere la nascita di una nuova Urss, forse non comunista ma certo poco democratica? Hosking ritiene che, come tante volte nel passato, la Russia debba scegliere se diventare finalmente uno Stato nazionale o continuare - nella scia degli zar, di Stalin e di Breznev - a perseguire il sogno di un impero, che però, per sua natura, è destinato a rimanere incompleto. Lo studioso britannico è pessimista: sospetta che Putin abbia davvero mire imperiali.
Più cauto Sergio Romano, che nell’edizione aggiornata della Storia della Russia di Nicholas V. Riasanovsky (Bompiani), si limita a chiedersi quali conseguenze potrebbe avere sulla situazione politica mondiale la rinascita di una potenza simile all’Unione Sovietica. Romano sembra considerarla nient’altro che un’ipotesi. E tale infatti appare, almeno per ora. Perché non è l’arroganza a motivare Putin, ma il desiderio di riscattare quindici anni trascorsi ai margini della storia. Chiede rispetto, pretende che la comunità internazionale - e soprattutto gli Usa - smetta di considerare trascurabili, anzi calpestabili, gli interessi di Mosca.

Non vuole essere escluso, al contrario: implora di essere incluso, non più come superpotenza, ma almeno tra i Paesi che contano.
Riconoscere la dignità della Russia significa ancorarla all’Occidente e porre fine a un lungo, inutile equivoco.

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