Sarà un riflesso condizionato, l’ancestrale paura della fame, ma improvvisamente il ristorante della Camera s’è affollato. Da un paio di giorni, da quando il ministro Gianfranco Rotondi se ne è uscito con la provocatoria proposta di chiudere tutti i ristoranti della politica, buvette, self-service e bar d’ogni grandezza: pranzare costa e rallenta il lavoro, si dà il meglio di sé producendo al massimo proprio in quelle ore in cui invece si stacca per il classico spaghettino o un toast, prendiamo esempio dagli americani. E come se il pericolo fosse reale, oddio qui ci cade addosso anche il Ramadan perpetuo, gli onorevoli fanno scorta di grassi.
La cassa registra un aumento di coperti, a pranzo. Segno tangibile che il ventre del Palazzo è rimasto toccato, non solo metaforicamente. Il presidente Fini tace sulla questione, ma i suoi ricordano che da sempre salta il pranzo senza concedersi nemmeno un tramezzino, «fa una ricca colazione al mattino e tira avanti sino a sera, ma pranza solo per necessità ufficiali». Però la sortita di Rotondi preoccupa, se persino una magrezza esemplare come Gabriella Carlucci lamenta: «Almeno la buvette, no. Io m’accontento di poco, ma per lavorare ho bisogno di uno yogurt e di una banana». Anche Gabriele Albonetti, non potendo sottrarsi al ruolo di questore, drizza le antenne e reagisce scherzando: «Ma sì, chiudiamo tutto e teniamo i deputati a stecchetto, si risparmiano un sacco di soldi. Mettiamo una macchinetta a gettoni, per merendine e bibite: anzi, la mettiamo nel cortile, così quando piove chi vuol mangiare soffrirà anche il freddo e la pioggia».
Sì, sofferenza e risparmio... Non per dire, ma sapete quanti ristoranti ci sono in Parlamento? Ben sei. Più due buvette, svariati bar e baretti di ardua conta perché non c’è palazzo o dependance che non abbia almeno una mescita. Se tale ambaradan di mangiare e bere è poco o troppo per una tribù di 950 rappresentanti della nazione, più 3.000 dipendenti e 300 giornalisti, fatevelo dire da un nutrizionista. Ma sapete quanto spendono Camera e Senato per i servizi di ristorazione? Una decina di milioni d’euro l’anno, 20 miliardi delle vecchie lire. In cibo, alcolici e bevande varie, posate e servizi beninteso, senza contare il personale addetto, camerieri, banconisti, capi e cucinieri. Se al conto si aggiungono anche gli stipendi del settore, si va tranquillamente oltre i 20 milioni d’euro.
Ormai la tendenza generale è quella di appaltare i servizi di ristorazione, ma una buona fetta di gestione interna si conserva. E in verità, c’è da aggiungere che almeno Montecitorio incassa più di qualche spicciolo, perché in entrata segna 1 milione e 100mila dalla ristorazione, accanto a 600mila di spesa per alimentari, 5 milioni e 200mila di spesa per la ristorazione gestita da terzi, e 200mila per la ristorazione esterna nella verifica dei risultati elettorali. Palazzo Madama invece, nel bilancio di quest’anno segna soltanto 1 milione 434mila di spesa per la ristorazione dei senatori e 1 milione 345mila per quella del personale, più 20mila euro in posate e stoviglie. Misteri dei bilanci, ma sembra strano che al Senato si mangi gratis... Dei ristoranti, volete sapere? Sono aperti anche la sera, pur se i parlamentari cenano a Palazzo molto meno di un tempo. A Montecitorio c’è un ristorante elegante per gli onorevoli, con una sala «veloce» dove 8 coperti sono riservati ai giornalisti. Poi un self-service al piano sotto l’aula aperto a tutti gli addetti, un altro ristorante a Palazzo Marini, e un quarto all’ultimo piano di San Macuto, con terrazza e vista sulla cupola del Pantheon, aperto anche a quelli del Senato. È molto frequentato d’estate, perché a dispetto di quel che vorrebbe Rotondi, nella pausa pranzo anche gli occhi vogliono sfamarsi. Al Senato c’è un ristorante molto raffinato (qui i cronisti hanno diritto a 12 posti), ottimi vini e gran cucina, per il quale i palati raffinati stan soffrendo essendo in cambio di gestione.
Più il self-service per i dipendenti. Totale generale 6, che salirebbe a 7 se le Belle arti e le polemiche non avessero bloccato il roof garden super vip che la gestione senatoriale precedente a quella del presidente Schifani stava impiantando sul palazzo della biblioteca.
Delle buvette e degli svariati quanto onorevoli bar s’è detto e scritto sin troppo, quel che è singolare però - specie in questi tempi di antidoping e impronte digitali - è che non si prenda esempio dagli autogrill, vietando almeno la mescita di alcolici quando c’è seduta. Perché «forchettoni» come si diceva un tempo può anche andar bene, ma almeno sobri.
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