Il Pd che sognava il golpe va in bianco un’altra volta

Bersani aveva corteggiato strenuamente il Senatùr sperando nella spallata. Ma alla fine è rimasto a mani vuote. "Non mando il Paese in malora", gli ha risposto Bossi

Il Pd che sognava il golpe 
va in bianco un’altra volta

Ha dovuto persino litigare con Vendola, sorbirsi i suoi risentiti appelli alla purezza rivoluzionaria («Nessuna apertura a Bossi e Tremonti: sono due protagonisti fondamentali del berlusconismo»), e correre subito ai ripari con una solenne dichiarazione dal palco della Conferenza nazionale del Pd: «Noi siamo alternativi alla Lega». Eppure Bersani allo schiaffo di Pontida - dopo quelli delle amministrative e del referendum - aveva mostrato di crederci: aveva cioè immaginato, forse anche perché suggestionato dai boatos che gli stessi leghisti andavano diffondendo nel Palazzo, che sul pratone Bossi davvero staccasse la spina al governo, disarcionasse Berlusconi da palazzo Chigi e aprisse la strada al «governo di transizione» incaricato di reintrodurre il proporzionale, emarginare il Pdl, consentire alla Lega di andare da sola alle elezioni e consegnare all’asse Pd-Udc le chiavi della politica italiana.

Un piano perfetto e non privo di fascino (anche per molti leghisti), ma destinato a fallire per un dettaglio che i politici-politologi continuano a sottovalutare ogni volta che si parla della Lega: per quanto critico e rischioso possa essere il rapporto con Berlusconi, abbandonarlo al suo destino provocherebbe al Carroccio un danno ben maggiore. Non è un problema di affetti personali (che pure qualcosa devono contare nella parabola dei due leader invecchiati insieme), ma di blocco sociale, di interessi e di idealità comuni o complementari, e naturalmente anche di tornaconto politico.
Eppure Bersani ci aveva creduto, e l’altro giorno - sfidando le ire di Vendola - aveva rivolto un esplicito «augurio» alla Lega: «Pontida l’aiuti ad andare a fondo del problema. Riflettano a fondo se è il caso di rilanciare sulla vecchia strada o cercare una strada nuova, come credo sia indispensabile». E sabato il presidente del Pd, Rosi Bindi, aveva chiesto ai padani di «staccare la spina per aprire una fase nuova», mentre da Casini era giunto l’invito al Carroccio a «svincolarsi» dall’abbraccio con Berlusconi.

La risposta di Bossi ieri a Pontida, nella sua disarmante semplicità, mostra quanto fossero ingenui, prima che avventati, gli inviti e le esortazioni dei leader del centrosinistra: «Se adesso facciamo cadere Berlusconi - ha detto il Capo - favoriamo la sinistra. Non ci prenderemo la responsabilità di far andare in malora il Paese». Il pratone ha fischiato proprio questo passaggio, e Bossi ha ribadito due volte il concetto. Poi ha ricordato i primi decenni dell’Italia unita per concludere che «è quasi fatale che ogni 15 anni c’è un vento nuovo» (così recita un manifesto del Pd). Fischi padani a parte - che con ogni evidenza non si rivolgevano né contro Bossi né a favore di Bersani, ma contro il governo - la Lega ha dunque spiegato con una certa nettezza come vede la situazione: può anche darsi che il ciclo berlusconiano sia finito, può anche darsi che fra due anni dovremo cercarci un nuovo premier o andare da soli alle elezioni - ma la nostra collocazione alternativa al centrosinistra è fuori discussione, e non faremo una crisi al buio per fare un regalo a Bersani e a Casini.

C’era bisogno di Pontida per capirlo? Onestamente, no. Soltanto il vecchio vizio politicista ereditato dalle pratiche parlamentari della Prima repubblica può far pensare che una maggioranza politica si mandi in crisi sottraendole ogni giorno un gruppo, una corrente o un partito. La lezione del 14 dicembre è stata assai chiara, ma il Pd sembra essersela già dimenticata, e dopo la scissione di Fini ha coltivato fino a ieri mattina la speranza del divorzio di Bossi. Suona un po’ come la storiella della volpe e dell’uva, dunque, la reazione a caldo di Rosi Bindi, che ieri sera ha definito «parole al vento» le «minacce» del Senatùr al governo: «Bossi ha confermato il patto di governo con Berlusconi. Per salvarsi entrambi devono restare uniti».

Bella scoperta, verrebbe da dire: se non fosse che proprio la presidente del Pd aveva chiesto al Carroccio di «staccare la spina». Più onesta Anna Finocchiaro, che confessa sconsolata: «Da giorni Bossi e i suoi ministri continuavano a dire che l’evento di Pontida sarebbe stato un vero e proprio ultimatum per Berlusconi.

Francamente siamo delusi perché mai si è visto un ultimatum con una scadenza tanto lontana, addirittura nel 2013. Come al solito la Lega abbaia ma non morde...». E come al solito, purtroppo, il Pd se ne accorge in ritardo.

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