Roma Della serie: non facciamoci troppo male. Entrambi gli schieramenti, pidiellini e finiani, si usmano, si temono, si studiano. Un po’ come Usa e Urss all’epoca della guerra fredda.Una parte apre e l’altra applaude; una parte ringhia e l’altra mostra i muscoli. Nell’eterno ping pong tra Fli e Pdl, ognuno implora l’altro di non cedere agli ultras dei rispettivi schieramenti. Quando invece sembrano alzarsi in volo le colombe parte l’applauso del nemico. Berlusconi critica il Pdl? I finiani esultano: «È quello che abbiamo sempre detto noi». I futuristi moderati e lealisti si dissociano dalle sparate di Bocchino, Granata e Angela Napoli? I berluscones elogiano i Moffa, i Viespoli e i Menia: «Così si può discutere». Insomma, sebbene Fini e Berlusconi continuino a guardarsi in cagnesco, il sistema pare immobilizzato nella cosiddetta strategia della deterrenza dove l’arma nucleare è quella delle urne. Un voto anticipato rischia di far saltare tutto e probabilmente avrebbe come effetto la distruzione di entrambi. Per ora. Di sicuro grave danno al Fli posto che difficilmente, checché ne dica Bocchino, un partito in fasce non può certo fare sfracelli alle urne. Un rischio anche per il Pdl, però, visto che lo scioglimento delle Camere in caso di crisi di governo non è automatico; e poi, anche se il capo dello Stato decidesse di indire nuove elezioni, l’esito delle stesse per quanto riguarda il Senato non è affatto scontato. In questo scenario, dove vincono le reciproche paure di un patatrac, le prove di un patto per la legislatura ci sono eccome, seppur accavallate a scaramucce, dispetti e una buona dose di reciproca diffidenza. I finiani, per esempio, nel momento in cui applaudono all’autocritica di Berlusconi sul partito, temono pure che possano prendere il sopravvento i cosiddetti falchi pidiellini, più propensi alla soluzione dura: andare avanti a colpi di fiducia e costringere gli avversari a prendersi la responsabilità di staccare la spina del governo. I pidiellini, invece, temono di essere ostaggio dei finiani soprattutto sul nodo giustizia. Ed è proprio su questo fronte che in settimana si gioca la partita più delicata. Il match, che andrà avanti per giorni, si gioca in commissione giustizia al Senato, dove sul tavolo c’è il lodo Alfano in salsa costituzionale. Tecnicamente è un provvedimento mignon visto che potrebbe constare di uno o due articoli ma la trattativa tra Niccolò Ghedini da una parte e Giulia Bongiorno dall’altra è più serrata che mai. L’idea pidiellina è quella di far partire subito la legge Alfano, ossia la sospensione dei processi per il presidente del Consiglio e per il capo dello Stato, sul quale c’è già il sì dei finiani. Contestualmente si vuole ottenere l’ok su altri temi caldi: riforma del Csm, carriere separate dei giudici, responsabilità della magistratura. Ma occorre fare in fretta visto che il 14 dicembre la Consulta deve pronunciarsi sul legittimo impedimento e, qualora la Corte costituzionale lo bocciasse, i processi del premier ripartirebbero di gran carriera. Nel caso di un’approvazione lampo del lodo Alfano, anche solo in un ramo del Parlamento, il giudizio della Consulta potrebbe venir sospeso. Attenzione però: potrebbe. La sospensione, infatti, non è automatica perché nessuna legge impone che la Consulta metta nel freezer il proprio giudizio. Tuttavia, è consuetudine che i supremi giudici, qualora debbano pronunciarsi su una materia che sta per essere modificata, attendano a dare il proprio giudizio. Più sfumata l’ipotesi di una sorta di legittimo impedimento bis, sebbene il finiano moderato Silvano Moffa non si fosse dichiarato contrario a priori.
Ma sarà la linea di tutto il Fli? Poco probabile anche il cosiddetto «processo lungo»: il provvedimento secondo il quale il giudice deve accettare la lista dei testi degli avvocati, senza poter più segarla a suo piacimento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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