La penna di Ralph Lauren si ispira ai ranger a cavallo

Le piume degli uccelli selvatici associate ai motivi a quadri rossi e neri: lo stilista omaggia a New York l’America rurale dagli spazi infiniti

da New York

«America, America, aiutami a sognare un futuro migliore perché tu sola puoi garantire potere, ricchezza e libertà a chiunque si dia seriamente da fare». Dev’essere questo il mantra che Ralph Lauren si ripete ogni mattina fin da quando, 40 anni fa, si mise a disegnare cravatte meno noiose di quelle che vendeva come commesso del negozio Brook’s Brothers di New York. È diventato lo stilista più ricco del mondo con un marchio che oggi produce l’astronomico giro d’affari di 5,3 miliardi di dollari all’anno.
Logico quindi che nella sua moda ci siano sempre echi del cosiddetto «american dream» per cui in teoria chiunque può diventare presidente e governare il mondo dalla Stanza ovale. Infatti per la collezione del prossimo inverno che ha sfilato ieri a New York si è ispirato al mondo della caccia nei grandi spazi del Nord Ovest americano in cui gli Adirondacks rappresentano ciò che per noi europei sono le Dolomiti: un luogo di commovente bellezza naturale.
Così il classico motivo a quadri rossi neri delle coperte che in quelle terre servono anche per confezionare le giacche alla cacciatora dei ranger, approda perfino sugli abiti da sera in tulle e organza oppure sugli eleganti cappotti di cashmere dal taglio sartoriale. Le piume di pernice si mischiano alle paillettes, quelle del gallo cedrone vengono montate con anatomica precisione sulle gonne, mentre i pennacchi di fagiano decorano i deliziosi cappellini «bon bon» alla francese. Tutto aveva un sapore selvaggio e lussuoso allo stesso tempo a cominciare dal delizioso scamiciato in cavallino leopardato. Il nuovo comunque non abita tanto qui quanto nella superba collezione disegnata da Francisco Costa per Calvin Klein. I modelli avevano tutti una purezza scultorea ottenuta tagliando a rasoiate strisce di cashmere infeltrito montate poi con straordinari giochi di pannelli su tubini, cappotti, gonne e tailleur.
Il minimalismo da sempre tipico di questo grande marchio made in Usa, nelle mani del talentuoso designer brasiliano cattura davvero la modernità. Del resto tutto si può dire sull’America e su quel magnifico disastro di New York tranne che siano antiche come le piramidi: essere moderni qui è quasi un dovere sociale. Anche Tommy Hilfiger punta sull’american style per traghettare il suo brand dal jeans allo chic sportivo di certe icone statunitensi come Ali McGraw nel film Getaway.
Se vi serve un semplice cappotto cammello e una lineare gonnellina a portafogli, il mese prossimo andate nei negozi di Hilfiger. Ce ne sono in tutto il mondo e pure Custo Barcelona sta ampliando la rete vendita internazionale del suo marchio che ormai fattura oltre 70 milioni di euro all’anno. «Entro l’anno apriremo sei boutique monomarca di cui una a Kuala Lumpur» ha detto annunciando anche tre nuove licenze per occhiali, orologi e profumi. La sua sfilata era come sempre un inno al colore e all’allegria, ma stavolta i modelli ispirati nelle forme agli anni Trenta erano come ingabbiati nel tulle nero con un interessante effetto-plastica.
Tutta sbagliata la collezione di Zac Posen bamboleggiante e noiosa come Minnie, eterna fidanzata di Topolino. Non basta ficcare in testa alle modelle le orecchie da Mickey Mouse per rendere spiritose le maniche a palloncino e un’infinita serie di abitini senza storia.

È sorprendente pensare che il giovane stilista newyorchese avrebbe dovuto raccogliere l’eredità di Valentino per accontentare i desideri di Anna Wintour. Sempre lei pare abbia suggerito l’assunzione Lars Nielssen al posto di Ferrè. E proprio ieri da Milano è arrivata la notizia del licenziamento in tronco del designer da parte da It Holding che controlla il marchio.

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