Un Pennacchi fantascientifico per Dalai editore

«So’ come er contadino che porta i pomodori al mercato». Signori, attenzione, il fasciocomunista Antonio Pennacchi apre al libero mercato. Raggiunto al telefono per verificare come da copione una notizia-bomba (o almeno bombetta), prima sbuffa appena appena e poi la prende sul ridere, confermandola. Ma in parte.
Il sito Dagospia, come al solito bene informato e tempista, annuncia che lo scrittore, intenzionato a «deberlusconizzarsi» (virgolettato non suo ma della redazione dagostiniana), lascia la Mondadori, editore con cui ha pubblicato quest’anno la nuova versione di Mammut e l’anno scorso Canale Mussolini (Premio Strega) per passare armi e bagagli a Dalai Editore.
«Scusi Pennacchi, ci è giunta voce che lei...». «De già?!». Dunque è vero, ma in quali termini? Conviene approfondire un po’. L’interessato, gentilmente, si sbottona fino a un certo punto. «Non sono mai stato sposato con Mondadori, e quindi questo non è un divorzio. L’accordo con Dalai esiste ma è per ora limitato a due libri. Il primo è la riedizione di Una nuvola rossa, uscito nel ’98. Poi seguirà una storia di fantascienza. Anzi, è meglio chiamarla... fantasocietà. Qualcosa fra Ray Bradbury e Spoon River. Tu ti chiederai che c’entra Spoon River con Bradbury, però c’entra...».
Insomma, Pennacchi non fa «il gran rifiuto», semplicemente piazza alcuni «pomodori» a un altro acquirente. «Intendiamoci - spiega -, non ho mai avuto un contratto di esclusiva né con Mondadori, né con altri, quindi neppure con Dalai. Del resto il recentissimo Le iene del Circeo è uscito da Laterza, quindi...». Pennacchi, lo conosciamo, non è il tipo da lasciarsi incasellare facilmente fra i «pro» e i «contro» qualcosa. Quindi chi spera di tirarlo per la giacchetta in funzione anti Silvio (o anti Marina che dir si voglia, visto che di libri, fino a prova contraria, si sta parlando) si metta pure il cuore in pace: l’operaio contadino fa i conti soltanto con la propria penna.
E addirittura motteggia sul filo della nostalgia quando commenta: «Io in fondo sono uno di quelli che avrebbe voluto essere pagato ogni fine mese, dal sindacato degli scrittori...».
Sulla non meglio precisata «fantasocietà» Pennacchi non aggiunge altro, ma non è così difficile ipotizzare un affresco dell’Italia attuale magari intinto nella memoria di quella che fu.

Del resto, l’operaismo o comunque il «taglio» sociale con la lente puntata sul ceto medio-basso, nel panorama letterario italiano sta prendendo piede: si vedano i casi di Edoardo Nesi (Storia della mia gente, Bompiani) e Antonio Desiati (Ternitti, Mondadori). E quando un caporeparto come Antonio Pennacchi chiede la parola in assemblea, bisogna dargliela.

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