Miracolo. Nell'Italia della crescita che non c'è, della disoccupazione che non arretra, delle tasse sopra il 40 per cento e dei tassi sotto lo zero, c'è ancora gente che riesce a risparmiare e a fare fruttare i soldi. Ce la fanno con uno strumento finanziario che anni fa è stato combattuto e ancora adesso è largamente incompreso. Eppure i numeri sono chiari: i fondi pensione rendono bene, molto più del Tfr e anche di molte forme di investimento come fondi, Etf, polizze.Le pensioni fai-da-te sono una necessità. I conti dell'Inps continuano a peggiorare, come confermano le voci ricorrenti di tagli sempre più estrosi (come quelli agli assegni di reversibilità), le mancate rivalutazioni delle pensioni esistenti e i continui allungamenti dell'età lavorativa. Le buste paga sono ferme, di conseguenza anche i versamenti previdenziali. Di lavoro ce n'è poco e i nuovi contributi calano. Un'entrata di scorta è indispensabile. E i lavoratori italiani ne sono sempre più consapevoli.Secondo i dati della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, al 31 dicembre 2015 gli iscritti erano cresciuti del 13,4 per cento rispetto all'anno precedente. Un aumento importante, dovuto in buona parte all'adesione al fondo chiuso dei dipendenti del settore edile. Ma si è registrato un balzo anche tra le adesioni volontarie ai fondi aperti (quelli gestiti da operatori finanziari come banche e società di intermediazione) con un +8,8 per cento e ai piani individuali pensionistici di tipo assicurativo proposti dalle compagnie soprattutto tramite polizze vita o unit-linked (+10,1%).Complessivamente sono circa 7,3 milioni gli italiani che si appoggiano al «secondo pilastro» della previdenza. Poco più di un quarto della forza lavoro complessiva. Dal 2014 al 2015 il patrimonio gestito dalle varie forme integrative è salito del 5,7 per cento: lo scorso dicembre era pari a circa 138,4 miliardi di euro, il 3,5 per cento della ricchezza delle famiglie. Il grosso dei capitali è accumulato dai fondi negoziali, quelli istituiti d'accordo tra datori di lavoro e sindacati nell'ambito dei contratti collettivi o integrativi. Gli imprenditori versano ai fondi una percentuale prestabilita degli stipendi mentre i lavoratori sono lasciati liberi di fare la propria parte.I margini di progresso sono ampi. I contributi volontari potrebbero crescere parecchio. Il primo vantaggio è fin troppo evidente: avere una pensione che non dipende dall'Inps, e ultimamente da riforme e tagli imposti dal governo. Le pensioni integrative sono affidate a operatori professionali, tenuti per legge a evitare speculazioni e tutelare al massimo i risparmi, ma anche a farli fruttare più dei carrozzoni statali. Anche il fisco ha un occhio di favore benché nel 2015, con la prima legge di stabilità varata dal governo Renzi, la tassazione sui rendimenti sia salita dall'11,5 al 20 per cento. I contributi dei lavoratori restano deducibili dal reddito complessivo fino a 5.164 euro annuali, 430 al mese, mentre gli assegni sono soggetti a un'aliquota agevolata del 15 per cento che scende fino al 9 al crescere degli anni di partecipazione al fondo.Ma l'aspetto più conveniente è quello dei rendimenti, tutti pubblicati sul sito internet dell'ente di vigilanza assieme ai costi di gestione. Nonostante che il 2015 sia stato un anno turbolento per le borse, quasi tutti i comparti hanno fatto segnare risultati positivi. I profitti medi dei fondi negoziali sono del 2,7 per cento, quelli dei fondi aperti salgono al 3 mentre i piani individuali hanno toccato il 3,7 per cento. Negli stessi 12 mesi l'inflazione ha galleggiato attorno allo zero come gli interessi sui Bot mentre le liquidazioni lasciate in azienda o all'Inps si sono rivalutate dell'1,2 per cento: un terzo della media dei Pip assicurativi.Sono valori netti, già scontati dei costi di gestione e del carico fiscale. Senza l'inasprimento tributario voluto da Renzi e Padoan le performance dei fondi pensione sarebbero state ancora migliori. «Raddoppiare l'aliquota è stato un errore grave», dice Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, associazione che riunisce 120 operatori del settore. «Il governo ha lanciato un segnale negativissimo. Se tocco il rendimento avrò pensioni più basse e diminuirò la capacità dei fondi di essere investitori istituzionali. Lo Stato non deve essere ingordo nell'immediato: faccia crescere il montante individuale e tassi quello».Secondo i dati Covip nel quinquennio 2010-14, un arco di tempo più adeguato per valutare le prestazioni di investimenti che devono garantire una crescita di lungo periodo, la previdenza complementare ha fruttato rendimenti cumulati tra il 25,6 e il 27,5 per cento contro un'inflazione dell'11 per cento e una rivalutazione del Tfr del 17. Negli ultimi cinque anni i fondi di investimento hanno reso in media il 15 per cento circa.I comparti più aggressivi, quelli con un'elevata componente azionaria, hanno dato rendimenti più cospicui arrivando fino a una media del 5 per cento annuo. Alcuni fondi hanno superato addirittura il 10: un miraggio per migliaia di risparmiatori. Tra i piani individuali la forma integrativa con i risultati migliori - spicca il fondo Modus di Bcc Vita, che nella linea Equity America ha raggiunto un rendimento medio annuo nel quinquennio del 14,7 per cento, mentre il comparto Strategia internazionale del fondo Progetto pensione bis di Cattolica Assicurazioni ha offerto un 12,8. Allianz spa si conferma la società con i fondi aperti più performanti: la linea Dinamica del fondo Insieme ha reso il 10,5 medio annuo nel quinquennio e la linea Azionaria internazionale del fondo Previras il 9,5.I tre migliori negoziali sono Fondosanità (+8,9 nel comparto Espansione), il Fondo gomma plastica (+8,4 nel comparto Dinamico) e Foncer per i dipendenti della ceramica (+8 nel comparto Dinamico). Qui però non si può scegliere in base alle prestazioni. Ogni lavoratore deve aderire al fondo della propria categoria e la possibilità di scelta si limita al comparto più corrispondente al rischio che si è disposti a correre: basso, medio, alto.Dunque, il fondo pensione è un misto tra obbligo e scelta, tra dovere e volere. E spesso prevale la coercizione: si aderisce alla previdenza complementare perché lo impone il contratto nazionale della categoria ma con versamenti personali scarsi o nulli. Buona parte dei lavoratori non ci pensa, oppure ha timore dei rischi: catastrofi finanziarie, inaffidabilità dei gestori, future modifiche normative che magari peggioreranno anche questi trattamenti come avviene per le pensioni «normali».Sergio Corbello di fondi pensione ne ha due: al primo si iscrisse nel 1977, al secondo nel 1982, entrambi in comparti azionari e perciò più rischiosi. «Oggi soffro ammette per le turbolenze dei mercati ma nel lungo periodo ho sempre avuto ragione. I fondi godono di un vantaggio fiscale a monte e la loro finalità è vincolata a trasformarsi in trattamento pensionistico. Non li si può paragonare ai fondi di investimento, non sono un prodotto di risparmio ma di protezione per la vecchiaia».Quanto versare? Il vantaggio fiscale è limitato ai vecchi 10 milioni di lire annui: tanti o pochi? Corbello cita una regola empirica: «Se in 40 anni di lavoro verso costantemente a un fondo l'1 per cento dello stipendio, al momento di andare in pensione mi sarò garantito una rendita pari al 2 per cento dell'ultima retribuzione. Se verso il 10, arrivo al 20-25 per cento. Questo 10 è facile da raggiungere: 7 è il Tfr, 1-1,5 lo aggiunge l'azienda, il restante lo metto io. Non è un sacrificio pesante. Considerato che in futuro le pensioni Inps saranno tra il 50 e il 60 per cento dell'ultima busta paga, questa integrazione permette di superare l'80-85 per cento. Un reddito dignitoso».La legge comunque garantisce piena libertà. Mettere soldi in un fondo pensione negoziale dev'essere una scelta libera e consapevole. «Le buste arancioni che l'Inps sta per inviare ad alcuni milioni di persone con una previsione delle future pensioni faranno capire ciò che ci aspetta dice Corbello .
Quello che noi chiediamo nell'interesse dei lavoratori è che i contratti nazionali siano più stringenti. Ora si aderisce per consenso, bisognerebbe invece introdurre il dissenso espresso: un'adesione automatica con la facoltà di ritirarsi. In mezza Europa funziona così e stanno meglio di noi».Stefano Filippi- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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