Pensioni, guerra a sinistra Bertinotti congela la riforma

Schermaglia tra il ministro Chiti e il leader Prc sulla previdenza. Il ds: «Il programma dell’Unione non è il Vangelo». La replica: «Abbiamo un impegno con gli elettori»

Antonio Signorini

da Roma

Vannino Chiti: il programma «non è il Vangelo». Fausto Bertinotti: non è vero, «secondo me è vincolante». La guerra sulla finanziaria è ancora in corso, ma dentro l’Unione già cominciano le schermaglie sulle pensioni. Sono falliti i tentativi di Prodi di rinviare la discussione a gennaio quando, archiviata la manovra, il governo aprirà il tavolo sulla previdenza con le parti sociali. E a risollevare il caso è stato il ministro ai Rapporti con il Parlamento: «Il programma non è il Vangelo. Fatti nuovi possono intervenire, ma troveremo un punto di convergenza», ha detto Chiti in un’intervista. «Il programma è un elemento su cui nelle elezioni, in un sistema politico come quello in cui viviamo, si esercita un mandato. Io ti voto perché tu sei questo schieramento, questa rappresentanza e perché hai questo programma», è stata la replica del presidente della Camera Fausto Bertinotti.
Più che reali differenze sul futuro della previdenza, a fare litigare i due schieramenti è il richiamo a documenti diversi. I «radicali» preferiscono il corposo programma dell’Unione dove è più evidente l’impronta di sinistra; i riformisti il Dpef, il documento di programmazione economica e finanziaria che non può prescindere dagli impegni europei sui conti pubblici.
E non è un caso che, a fianco di Chiti sia sceso anche Lamberto Dini, esponente della Margherita e autore della riforma delle pensioni del 1995. Una nuova riforma, ha ricordato, «è prevista dal Documento di programmazione economica, non comprendo quindi le resistenze da parte della componente della sinistra radicale che vorrebbe frenarla». Dini si è detto «sorpreso dalle affermazioni di Bertinotti». Perché il programma «imprime l’indirizzo generale» al governo, ma il Dpef «è altrettanto vincolante». Uniche altre voci pro Dpef della maggioranza, quella del Daniele Capezzone dei Radicali italiani e quella di Roberto Villetti, esponente socialista e capogruppo della Rosa nel pugno alla Camera secondo il quale un intervento «non può essere considerato un tabù».
Molto più compatta e assertiva l’ala radicale della maggioranza. «Noi non accetteremo nessun imposizione su questo tema. Se il programma non è il vangelo, Vannino Chiti non è Dio», ha ironizzato il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano. E poi «non si capisce quali dovrebbero essere i fatti nuovi citati» da Chiti, ha aggiunto Pino Sgobio, capogruppo dei Comunisti Italiani a Montecitorio. «Il programma è la Costituzione dell’Unione e violarne i principi sarebbe tradire il patto con gli elettori», è stata la conclusione del capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli.
Reazioni che hanno costretto Chiti a una correzione del tiro. Le polemiche di Rifondazione, Pdci e Sole che ride, ha protestato l’esponente toscano dei Ds, sono «pretestuose». E dire che il programma non è il Vangelo significa solo «che in cinque anni possono intervenire fatti nuovi». Però «sulla previdenza il programma non si limita a dire che deve essere superato lo scalone imposto dalla destra per il 2008 ma fa riferimento alla necessità di una verifica della riforma Dini con sindacati e associazioni degli imprenditori».
Nel centrodestra prevale la sfiducia, anche verso i «riformisti» della maggioranza. Perché - ha spiegato Maurizio Sacconi, ex sottosegretario al Welfare ed esponente di Forza Italia, «tutte le ipotesi di mettere mano alla previdenza sono nel segno di una controriforma perché riaprono la voragine dei conti previdenziali». Difficile rinunciare allo «scalone». e cioè l’innalzamento a partire dal 2008 dell’età pensionabile da 57 a 60.

«Non c’è alcuna necessità» di fare un’altra riforma, ha osservato il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini. D’accordo Benedetto della Vedova dei Riformatori liberali secondo il quale «se il governo decidesse davvero di mettere mano alla previdenza, a prevalere sarebbe il diktat della componente massimalista dell’Unione».

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