Il percorso artistico di un esule molto «patriottico»

A Giuseppe Lallich (1867-1953), pittore simbolo del sentimento d’italianità dei dalmati e ponte fra le due sponde dell’Adriatico, è dedicata una mostra ospitata in questi giorni in quello che un tempo era il rifugio antiaereo del Palazzo degli Uffici dell’Eur.
Si tratta di uno scrigno di cemento armato nelle fondamenta, con servizi, porte blindate e per la luce e l’aria una dinamo attivata da due biciclette tandem. Alle pareti inquietanti cartelli che recitano: infermeria, silenzio, calma.
«No, non fu mai utilizzato in guerra», spiega l’amministratore delegato dell’Eur Spa Mauro Miccio. L’edificio infatti ospitò il primo nucleo della resistenza delle forze italiane contro i tedeschi dopo l’otto settembre del ’43, poi i rifugiati dalmati e, infine, in quello che oggi è il bar Palombini, la scuola per i bambini.
Con questa mostra dedicata al lavoro di Lallich, la Storia e l’arte trovano un punto di sutura. L’artista dalmata è nativo di Spalato. Completa la sua formazione presso l’Accademia di Venezia, conosce la Milano «divisionista», quindi la Parigi «post-impressionista» e nel ’21, dopo il Trattato di Versailles che consegna la Dalmazia alla Jugoslavia, trova rifugio nella città eterna.
Esule come il suo ospite, il mecenate alsaziano Alfred Wilhelm Strohl-Fern che lo accoglie in uno dei cento studi per artisti creati nel suo parco ai margini di Villa Borghese, Lallich occupa fino alla morte lo studio 11, accanto a Oppo e poi a Trombadori.
La mostra, ideata dall’Associazione Nazionale Dalmata e curata da Carla Cace, ripercorre la storia del pittore. Ma di molte opere si sono perse le tracce. Cinquanta i quadri esposti, molti dei quali ancora inediti: ritratti, paesaggi e scene che rivelano l’interesse per tradizioni e costumi orientalizzanti (il mercato di Ragusa e di Cattaro, i Morlacchi), per le architetture (la cattedrale di Sebenico), per i paesaggi. Con l’arrivo a Roma la tavolozza di Lallich assume toni meno squillanti, intimi in certi ritratti e si volge alla storia.

È il caso del giuramento di Perasto, la cittadina delle Bocche di Cattaro che, dopo il Trattato di Campoformio del 1797 (la Dalmazia va all’Austria), chiude in una teca d’argento mai ritrovata il gonfalone della Serenissima. O degli ovali di dalmati illustri, da Diocleziano a Tommaseo, della Scuola Dalmata dei santi Giorgio e Trifone a Venezia.
Eur, piazzale K. Adenauer 8. Orario: 10-12/16-18. Fino al 10 febbraio.

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