Una pericolosa prova di forza

Per la seconda volta dall’elezione al Parlamento palestinese di Hamas e dalla prima dalla formazione del suo governo, il presidente dell’Autorità palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) ha ricordato che la Costituzione lo autorizza a sciogliere il governo. Alla prima dichiarazione in merito nessuno aveva dato molto peso. La seconda, ieri, ha provocato tre domande: perché questa esternazione? Perché proprio adesso? E in quale misura il presidente palestinese la concretizzerà nei fatti?
È facile rispondere alla prima domanda. Nel corso di un mese si è passati in Palestina dall’occupazione di uffici pubblici da parte di bande armate che chiedevano soldi allo scontro, il 22 aprile scorso, che ha causato una quarantina di vittime. A provocarlo all’università islamica di Gaza fra studenti sostenitori di Hamas e sostenitori di Al Fatah e a causare le violente manifestazioni a Khan Yunis e a Nablus sono stati gli attacchi lanciati dalla dirigenza «all’estero» di Hamas contro il presidente Mahmud Abbas. Venerdì scorso, in occasione del secondo anniversario dell’assassinio per mano israeliana dello sceicco fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, Khaled Meshal, leader di Hamas, aveva dichiarato in un raduno di massa di palestinesi nel campo profughi di Yarmuk, a sud di Damasco, che «alti personaggi di Al Fatah» stavano cospirando contro il governo per rovesciarlo. Il «complotto» mirava anzitutto a impedire al ministro degli Interni Said Sayem di creare una nuova forza di sicurezza in cui avrebbero militato tutti gli armati di Hamas sotto il comando di un noto terrorista ricercato da Israele.
A difesa di Mahmud Abbas migliaia di sostenitori di Al Fatah scendevano così in piazza gridando insulti contro Khaled Meshal, mentre domenica scorsa il vice primo ministro palestinese Nasser Ad Din Shaar cercava di calmare le acque affermando che le dichiarazioni di Meshal erano state fraintese e che la nuova forza di sicurezza avrebbe operato nel quadro delle forze di polizia esistenti.
Se siano state queste dimostrazioni a suo favore oppure i primi tentennamenti del governo Hamas a indurre il presidente palestinese - costituzionalmente capo delle forze armate - a minacciare lo scioglimento del governo è difficile sapere. Mahmud Abbas sa di poter contare sul sostegno indiretto di Israele (che evita di lanciare dure rappresaglie in risposta agli attacchi palestinesi); ha l’appoggio aperto dell’Egitto, che chiede ad Hamas di riconoscere Israele, e quello degli americani, che si sforzano di impedire che l’Iran e altri Paesi arabi rompano il boicottaggio finanziario imposto da Washington e dall’Europa al governo di Hamas.
Ma deve essere prudente, perché sciogliere il governo di Hamas significa radicalizzare la situazione non solo in Palestina ma nell’intera regione.

Il fallimento dell’esperienza di governo di Hamas - scriveva il 20 aprile An Nahar di Beirut - fa gola a molti governi arabi, perché demolirebbe le speranze dei movimenti islamici di conquistare il potere attraverso elezioni. È proprio il timore di apparire antidemocratico che fa esitare il presidente palestinese a prendere una decisione che sarebbe denunciata come antidemocratica non solo nel mondo arabo islamico.

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