La perizia sulla Franzoni: «Disturbi psichici, ma soltanto a momenti»

Investigatori ormai certi che qualcuno li abbia presi. «La fuga volontaria non ci convince più»

Stefano Zurlo

da Milano

Può stare tranquillamente in aula. Può sostenere il ruolo di imputata e può essere condannata. Esattamente com’è accaduto in primo grado. Ma Annamaria Franzoni non era una persona completamente normale all’epoca del delitto che ha sconvolto e diviso l’Italia: nel 2002 la mamma del piccolo Samuele soffriva di un disturbo borderline. E questa patologia avrebbe pure potuto provocare un vizio parziale di mente. Un obnubilamento delle facoltà mentali transitorio e tutto da valutare, ma potrebbe avere il suo peso sulla bilancia della Corte d’assise d’appello di Torino.
Sono queste le prime indiscrezioni, prive del crisma dell’ufficialità, sulla perizia psichiatrica firmata da quattro luminari e depositata con un giorno d’anticipo sui tempi fissati. In 267 pagine, i periti cercano di risolvere il rebus Franzoni, ma l’impresa dev’essersi rivelata assai ardua. E questo per almeno due buone ragioni: c’è già una precedente perizia che considera Annamaria Franzoni perfettamente capace di intendere e di volere. Proprio perché c’era già un test così autorevole alle spalle, la donna si è opposta ai nuovi esami e si è rifiutata di incontrare il poker di esperti nominati dal presidente Romano Pettenati: «Io non voglio passare per pazza, io sono perfettamente sana e preferisco andare in carcere se non mi credono», ha sempre detto la Franzoni.
Così i tecnici si sono attaccati alle carte, ai diari clinici, ai colloqui con Annamaria dei colleghi che li hanno preceduti, persino a una ricognizione nel paradiso violato di Montroz e ai fuori onda delle interviste televisive. Hanno studiato i malori della donna, compreso quello registrato dal medico poche ore prima del delitto e oggetto di infinite interpretazioni, le sue depressioni, più o meno nella norma, i suoi svenimenti, tutti compatibili con le spiegazioni più banali. Poi hanno emesso il loro verdetto che offre sì una possibile via d’uscita alla corte ma disegna un percorso assai accidentato e problematico. Che peso aveva questo disturbo? E quanto potrebbe incidere sull’eventuale vizio di mente? Come si capisce, ci si muove su un fondale sdrucciolevole e in qualche modo si restituisce la palla ai sei giudici popolari e ai due togati che infine dovranno prendere la decisione: confermare la condanna a trent’anni, emessa dal gip Eugenio Gramola, o assolvere la donna puntando il dito verso un altro ignoto mostro. La terza strada, quella della non imputabilità, potrebbe portare a una sorta di quadratura del cerchio, perché dal giorno del massacro, avvenuto il 30 gennaio 2002, è sempre stato molto difficile coniugare la lacrime della Franzoni, la sua disperazione, le sue risposte pertinenti in aula, con un orrore smisurato e senza movente, anzi senza la più pallida spiegazione.
Ora il delicatissimo tema verrà sviscerato in aula il 29 giugno. Si annuncia una battaglia. Taormina è già al contrattacco: «Non si è mai vista una perizia che dà due responsi, a seconda che l'imputato sia colpevole o innocente.

I periti incaricati dalla Corte d'assise d'appello di Torino dichiarano che la signora Franzoni è sana di mente e lo è sempre stata se è innocente e che è stata attinta da seminfermità mentale se dovesse essere colpevole».

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