Paola Egonu lascia (ancora) la nazionale italiana. A questo punto viene da pensare che l'errore non sia il suo, che ha 24 anni e forse non ha ancora sviluppato la maturità adeguata per fare determinate scelte. È più probabile che sia di chi ancora continua ad aggrapparsi a una giocatrice che, per quanto talentuosa, non è in grado di gestire certe pressioni o, forse, non è così interessata a quella maglia. Il talento di Egonu non è in discussione ma solo chi non sa cosa significhi stare dentro uno spogliatoio e fare gioco di squadra può pensare che "talento" sia uguale a "convocazione" e "minutaggio" sia un'equivalenza granitica.
Ebbene, vi sveliamo un segreto: non è così. Non può essere e non dev'essere così, tanto meno quando si parla della nazionale. Indossare quella maglia significa sentirsi parte di un tutto, sentirsi parte di una collettività e di un gruppo che lavora per un obiettivo. Ognuno fa la sua parte al meglio delle sue possibilità, si lavora insieme e lo si fa con orgoglio. Ecco, forse, la parola chiave. In Paola Egonu probabilmente manca quest'ultimo elemento, che quando si viene convocati per una nazionale è parte integrante del gioco. Darle quella maglia non è un atto dovuto della federazione ma è un premio che viene concesso e del quale deve, o dovrebbe, essere orgogliosa.
Invece no. Appena un anno fa è andata via, ha sbattuto la porta e addirittura è andata in Turchia per disputare il campionato locale, inseguendo, più che un sogno sportivo, un sogno economico. Ha accusato il Paese in cui è nata e cresciuta di razzismo, ha ripudiato un popolo intero e annunciato che non avrebbe accettato le convocazioni con la nazionale italiana. Questo dopo aver vinto un bronzo ai mondiali e non aver certo giocato la sua miglior pallavolo. Non ha vinto l'oro e se ne è andata tra le polemiche. Poi qualcuno è tornato da lei, le ha chiesto di indossarla di nuovo per il campionato europeo. Non avrebbe dovuto, visto il suo comportamento, ma l'ha fatto.
Lei ha accettato. Ovviamente, non poteva certo pretendere di essere titolare di quella squadra dopo aver sparato ad alzo zero sul Paese. Anche se è brava, bravissima, la migliore, certi comportamenti hanno delle conseguenze. L'Italia stavolta ha vinto la medaglia di legno, classificandosi quarta tra la delusione generale. Lei ha avuto un ruolo marginale in questa squadra e invece di restare lì e col suo talento segnare la strada, anche se da comprimaria, ancora una volta ha sbattuto la porta. Ora c'è ancora qualcuno che le corre dietro, che la implora di ripensarci. L'allenatore della nazionale, anche per questa ragione, dopo le qualificazioni ai mondali verrà probabilmente mandato a casa senza tanti complimenti. E lei? Lei, con la qualificazione olimpica in tasca, nel caso arrivasse, sicuramente tornerebbe a vestire quella maglia.
Quella della nazionale, però, non è una maglietta qualunque che metti e togli come vuoi, che quando ti stanca lanci nell'armadio e poi quando ne hai voglia riprendi. È il simbolo di una Nazione che attorno a quella maglia si riconosce, che per quella maglia azzurra piange ed esulta. Se non ti senti in grado di sopportare la pressione e la responsabilità che questo comporta, se non senti quell'attaccamento, è meglio lasciarla andare per sempre.
Altri prima di lei l'hanno fatto e non per questo sono considerati meno campioni. Sicuramente si troverà qualcun'altra che prenderà il suo posto, magari meno talentuosa, ma con quella grinta e quella voglia di lottare per quella maglia che lei - probabilmente - non ha.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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