Il desideri del piccolo Harold George Bellanfanti Jr, in arte Harry Belafontenon osarono scorrazzare sulle ali della fantasia. Pensare in grande non era previsto.
Successo e fama non facevano parte dei suoi piani.
L’ambiente di privazioni nel quale nacque e crebbe non era adatto a coltivare i grandi sogni.
A 51 anni, con il successo già in tasca, dichiarava in un’intervista nel 1981”oggi i giovani hanno Sidney Poitier, Diana Ross, Bill Crosby, Richard Pryor, e sì …”affermava sorridendo a bassa voce “hanno me, Harry Belafonte” quali esempi di successo nel mondo dello spettacolo.
Ma durante la sua adolescenza mancarono i modelli a cui ispirarsi e in cui riconoscersi per coltivare la speranza del cambiamento.
E lui era impegnato a colmare una “giovinezza svantaggiata” in un’America dove i volti neri erano ancora invisibili. In ogni campo.
Rimarcando che anche per registrare la presenza di un afroamericano di successo nello sport, bisognò attendere la figura di Jacky Robinson che solo nel 1947 spezzò le barriere del colore entrando nella major League del baseball.
“In nessun momento mi balenò l’idea di andare ad Hollywood, di fare un album, di essere a Broadway….Ero contento come la maggior parte dei neri di praticare la mia arte ma i grandi sogni ci illudevano tutti”.
E non fu lui a cercare il successo ma il successo gli venne incontro.
Fu “una coincidenza”.
E fu travolgente. Lo portò sulle vette più alte, con un milione di dischi venduti, più su di Elvis. Più su dei bianchi.
Ed era proprio la questione dei diritti civili e razziali quella che lo assorbì e lo interessò da subito, più del successo che invece lo sorprese.
“Mi sono sempre opposto alla ingiustizia essendo stato una vittima di questo. Sono sempre stato dalla parte dei diritti delle donne, primariamente perché ho visto cosa è successo a mia mamma nella sua professione da domestica e cosa è successo a lei come donna”.
Nel 1958 , ancor giovane ma già all’apice della fama, rifiuta una parte importante come attore in Porgy and Bess a Hollywood giustificando il gesto con la convinzione che quel ruolo potesse screditare la sua razza. E che il gioco d’azzardo e la lussuria non fossero gli argomenti di cui gli afroamericani necessitavano in quel momento.
Pensava che la sua popolarità potesse essere usata per migliorare le relazioni razziali “ non sono un politico, sono un’artista ma se la mia arte è fatta bene ed è ricevuta da tante persone, questo è un contributo importante”.
Un filo rosso che lo accompagna per tutta la vita che lo pone per esempio a fianco di Martin Luther King e Mandela, appoggiandone le cause.
Un fil rouge che si intreccia insieme a quelli delle note su cui la sua carriera si era imbastita: i ritmi caraibici, leggeri, allegri, dai pezzi in apparenza spensierati (i cui testi come Day-O però rimandano volontariamente, come dichiarerà, al tema lavoro dei neri nei campi contenendo una denuncia delle loro condizioni).
Ma il mondo ballava e si divertiva e faceva eco a quei ritornelli orecchiabili che riesumavano tracce di gospel abitualmente intonate dai braccianti nelle piantagioni.
Harry Belafonte imparò a destreggiarsi passando con fluidità dall’universo solare della sua musica che conteneva insospettabili semi dell’attivismo ad un impegno sociale e civile che di leggero e spensierato non trasmetteva nulla.
A 51 anni gli fu chiesto
da un giornalista in che modo fosse riuscito a mantenere il suo successo nonostante non avesse mai nascosto certe sue scomode idee.“Essere se stessi, marciare al ritmo in cui si crede, condividere la compagnia di persone che condividono la stessa filosofia… Il mondo nella sua vastità ti accoglie con più facilità se porti la verità e se celebri tutta l’umanità. Sono sicuro che molte persone non mi ingaggerebbero a causa delle mie idee ma quando misuro il mio impegno verso l’umanità non credo ci sia scelta tra la libertà e il lavoro o il denaro”.
Un uomo che non si nutriva solo di arte e ideali ma era dotato di grande fiuto e senso di pratico. Il celebre bassista Richard Bona che ha lavorato al suo fianco confessa a IlGiornale.it che dopo poche settimane dal suo arrivo a New York Belafonte riconobbe le sue capacità e lo trasformò nel suo direttore musicale.
Sempre prodigo di buoni consigli, Richard ricorda che in occasione della firma del suo primo contratto con Sony Music, la casa discografica lo avvisò che l’avvocato che aveva scelto ( fresco di università ed economico per far fonte alle spese di
inizio carriera) andava cambiato perché non era adatto. Quando Harry lo vide triste e si fece spiegare le ragioni lo apostrò così : “ Davvero ti chiedono di cambiare avvocato? Hey Bona, tienitelo stretto allora!”.
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