A tu per tu con Giorgio Dell'Arti

Lo stimavo fin da quando ero giovane, intellettuale libertario, una storia culturale alle spalle enorme, appena ci vediamo è come se ci conoscessimo da sempre

A tu per tu con Giorgio Dell'Arti
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Non ho mai capito la storia di Maometto e della montagna, una montagna che cammina fa ridere, però io a 54 anni non esco mai di casa e da tanto volevo incontrare Giorgio Dell’Arti, e lui quasi ottantenne senza problemi viene a pranzo da me. Lo stimavo fin da quando ero giovane, intellettuale libertario, una storia culturale alle spalle enorme, appena ci vediamo è come se ci conoscessimo da sempre, tanto che gli dico: «ma perché non ti fai intervistare ora da me?». E lui: «Che problema c’è? Facciamola».

Anche perché, chiacchierando, scopro un sacco di cose. Per esempio che mitica rivista di letteratura, che leggevo a diciotto anni, nel 1988, la faceva lui, e c’è un retroscena: nacque prima come una rubrica sul Venerdì di Repubblica, curata da Giorgio, in cui faceva gareggiare i romanzi affidandoli a gruppi di lettori qualunque, «quelli che vanno davvero in libreria a scegliersi i libri». Come fossero tornei di tennis. I vincitori erano sempre scrittori snobbati dalla critica e dai circoletti à la page. «Lo feci proprio dentro il Venerdì, anche per rompere i coglioni». Ma Rosellina Balbi, napoletana e capo cultura, andò su tutte le furie. «Scalfari non ne poteva più dell’elitarismo di Balbi e del suo fedele cagnolino Paolo Mauri», per cui l’inserto venne fatto in segreto. Quando però uscì «Scalfari, terrorizzato dalla virago napoletana, senza neanche telefonarmi, affidò il supplemento alla stessa Balbi. Venne fuori la solita robetta senza sugo».

E Dell’Arti che fa? «Mi incazzai di brutto, andai dal commercialista, fondai una srl, e editai un mensile di cultura, appunto Wimbledon, che partì vendendo sedicimila copie». Uno dei lettori ero io, era una magnifica palestra contro la fighetteria pseudoculturale. Gli chiedo cosa ne pensa degli scrittori italiani e del Premio Strega, a questo punto. «Ma che vuoi che esca dal Premio Strega se non l’amichetto degli amichetti degli amichetti? I vincitori sono quello che sono, risultato di scelte politiche, non vale neanche la pena parlarne». Gli dico che a me sembrano tutti romanzetti rosa declinati socialmente. «Siamo nell’epoca delle femminucce. Intendiamoci: femminucce non sono solo, e non sempre, gli scrittori-donna». Lo so benissimo, per questo io ho sempre scritto la Lagioia, la Raimo, eccetera. Ci troviamo d’accordo quasi su tutto, è un piacere parlare con lui, e è anche strano vederlo nella mia sala circondato da statue di Batman. Siamo entrambi atei, io per ragioni scientifiche, lui per un motivo per cui scoppio a ridere. «Lo divenni a sedici anni, quando andai a confessarmi e il confessore mi rimandò a casa perché mi mettessi la giacca. Ma vattenne aff....».

Gli chiedo se è vero che ha definito Giorgia Meloni il politico più intelligente in circolazione. Dice di sì, lo scrisse in una lettera a Francesco Merlo, ma avrebbe voluto che Fratelli d’Italia appoggiasse il governo Draghi. Per cui non vota più. Gli domando che rapporti ha con la sinistra. Giorgio fa spallucce, e dice sconsolato: «Nessun rapporto, a parte l’amicizia personale con alcuni. La sinistra deve fare una lunga, dolorosa riflessione sulla propria storia, ammettendo la vittoria definitiva del capitalismo e delle logiche legate al profitto. Solo dopo sarà in grado di ridisegnare una propria identità credibile. L’Occidente non può perdere, il tramonto o la fine dell’Occidente è un trastullo da intellettuali che non hanno niente da dire».

Infatti, osservo, c’è sempre questa retorica contro il capitalismo, difficile da estirpare. «Il capitalismo ha vinto, e non c’è discussione. La resistenza al capitalismo, in nome di qualunque idea, conduce alla tirannia». Gli domando che rapporto ha con i social, perché vedo sempre i suoi video su Instagram, e sono sempre riflessioni molto intelligenti su pressoché tutto. «Su Instagram faccio la marionetta (@spremutadigiornali) per aiutare la diffusione di Anteprima. Gli stessi video vengono caricati su Tik Tok. Risultati buoni, in un anno settantamila follower. Per il resto, niente, né X né altro.

Sono su Facebook ma non ci vado mai». Il che significa che Facebook è davvero morto, non è neppure un social per vecchi. A proposito, gli chiedo come vive la vecchiaia. «Mi sono rassegnato». «E la morte? Hai paura?». «Mi sono rassegnato».

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