LA PIAZZA FISCHIA FINI

I professionisti sono tornati. Sono loro che decidono chi sì e chi no, chi può andare a via D’Amelio e chi è indegno, interdetto. Sono loro che sanciscono, noi, noi con le «Agende rosse», siamo l’antimafia, gli altri sono i cattivi, i deviati. Sono loro che danno la patente. E i loro verdetti non hanno bisogno di tribunali. Il 19 luglio sono morti Borsellino e i cinque agenti della scorta. Ma qui a Palermo, su questi (...)
(...) morti, si sta giocando una partita politica. Pochi si fanno da parte. I fatti. Fini arriva in via D’Amelio. È la seconda volta che viene qui in 18 anni. La prima fu alla fiaccolata di quattro anni fa. Chi c’era racconta che restò non più di un quarto d’ora. Questa volta è diverso. È una stagione dove esserci o non esserci non è indifferente. È un atto politico. Eccolo. Sta per deporre una corona di fiori sul luogo della strage. Un gruppo di «professionisti» si avvicina. Qualcuno fischia. Tutti rumoreggiano. Vogliono capire se ha la patente o no. Fini li guarda perplesso. Forse non se lo aspettava. Lui è qui per dire a tutti che la legalità è la sua bandiera. Ancora qualche fischio. Poi la domanda. «Anche per lei Mangano è un eroe?». Il test d’ammissione in fondo è facile. Fini si avvicina, masticando un chewingum, e risponde sfruttando l’assist: «No. Mangano è un cittadino condannato per mafia. Non un eroe». Scatta l’applauso. È fatta. A questo punto si può parlare. «Presidente faccia qualcosa per la legge bavaglio contro le intercettazioni?». «Lo vedete cosa sto facendo». Altro applauso. Fini li vuole far ragionare. «Ricordatevi di Sciascia e dei professionisti dell’antimafia». Uno o due rispondono: «Qui non ce ne sono di professionisti». Il resto tace. Poi il presidente della Camera punta alla standing ovation: «Rispettate le istituzioni, anche se in alcuni casi ci sono uomini che non sempre sono all’altezza del ruolo che ricoprono». Applausi, applausi, applausi. È stato utile arrivare fin qui. Più tardi dirà che questi sono ragazzi che cercano solo la verità. Contestato? Quando mai. «Di fronte ai nuovi elementi che parlano di depistaggi nelle inchieste sulle stragi sono indignato». Come tutti. Soprattutto quando si saprà cosa è davvero accaduto.
Questa è una giornata in cui ognuno gioca la sua parte. Fini incontra il fratello di Borsellino. Si chiama Salvatore e nel pomeriggio ha fatto sapere che Fini era gradito, Schifani no. Torna il problema della patente. Il presidente del Senato non aveva chiesto il permesso per andare in via D’Amelio. Infatti non era previsto. Si stava già dirigendo alla caserma Lungaro, dove lavoravano i poliziotti della scorta. Ancora una volta tu sì e tu no. Vendola, da Bari, aveva intanto fatto sapere che gli eroi italiani sono Falcone, Borsellino e Giuliani. Il giovane morto al G8 di Genova è un po’ fuori tema, ma anche Vendola ha il suo elettorato. Il finiano Granata invece lanciava un ultimo teorema: «Chi ostacola le indagini sulle stragi? Tutti quelli che attaccano la magistratura». La giornata per ricordare Borsellino si trasforma di ora in ora in una corsa a testimoniare la propria vocazione politica. Quest’anno finiani e non finiani si sono marcati a vista. Va lui e allora vado pure io. Quelli che stanno giù e vivono in Sicilia si guardano perplessi e si chiedono che cavolo sta accadendo. Dove erano gli anni scorsi? Quando alla fiaccolata organizzata da quindici anni dai giovani di destra, perché è di questo che stiamo parlando, i volti noti di Roma non erano poi molti.
Quest’anno la Palermo che fa rumore è quella scesa dalla capitale. Ce n’è un’altra. Quella che non ha bisogno di patenti. Quella che non ha bisogno di contestare nulla, perché la mafia la combatte ogni giorno. Non è un caso che la prima fiaccola l’abbia accesa Manfredi Borsellino, il figlio di Paolo, mentre stringeva la mano del figlio, Paolo. Questa è l’altra fiaccolata. Quella di Carolina Varchi, che non ha bisogno di aerei presidenziali, perché lei a Palermo ci vive, la respira, da quando è nata. Ha ventisei anni. Sono otto che ogni 19 luglio va in strada, con la fiaccola. Si ricorda quando lassù, a Roma, i politici non facevano la fila per dire: ci sono. Ricorda gli anni fiacchi, la memoria corta, gli assenti, i menefreghisti e quelli che per sbaglio arrivavano solo per una sveltina. Mi faccio vedere, flash flash e vado a casa. Carolina tutte queste cose ce le ha chiare in testa. Sorride e dice: è per questo che non mi incantano, ingannano. Questa fiaccolata i ragazzi di Giovane Italia, che si chiamano così da quando è nato il Pdl, la organizzano da quindici anni.

Solo fiaccole, niente bandiere, niente inviti, niente steccati e non si canta neppure Bella Ciao. Carolina dice che strumentalizzare Borsellino, o Falcone o la lotta alla mafia le fa un po’ schifo. Non serve, anzi fa male.

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