Arriva Tonino e finisce tutto nell’aula che lui preferisce, quella di un tribunale. La compravendita di parlamentari, reato non ancora conosciuto dal codice penale ma si provvederà, è il misfatto che prima Bersani e poi Di Pietro vedono profilarsi nel grande «mercato delle vacche» di Montecitorio. Il leader Idv parla da esperto, avendo visto fuggire in due anni dieci suoi parlamentari passati a miglior gruppo. Tutto fa brodo per accusare il Pdl di corrompere le istituzioni, anche se il partito che ha perso - e non acquistato - più deputati, dal 2008 ad oggi, è proprio quello di Berlusconi, a «meno 34» dopo la diaspora collettiva dei finiani. In effetti passa qualche ora dalla trovata dipietrista (denuncia contro ignoti depositata alla Procura di Roma) e il Pdl, dopo averci ragionato bene sopra, si rende conto che qualcuno potrebbe aver fatto compravendita a spese sue. E dunque parte la co-denuncia nell’insolita formazione Pdl-Idv, con i coordinatori Bondi e Verdini che fanno sapere in una nota che il Pdl presenterà una denuncia alla procura di Roma perché «venga fatta luce anche su tutti quei casi in cui sono stati altri partiti ad acquisire i nostri parlamentari».
Non lo avrebbero fatto, ma se «deve essere fatta chiarezza questo deve avvenire a 360 gradi». Magari si scoprirà qualcosa sulle «stranezze di chi, in modo più che sospetto, ha usato il tram del Pdl salvo poi scendervi in corsa per passare ad altri schieramenti o per formarne di nuovi». Perciò il capogruppo Gasparri non scherza più di tanto quando annuncia che chiederà alla Procura «di essere ascoltato, in quanto capogruppo parlamentare, come parte lesa. Potrei raccontare di tante indebite pressioni subite da parlamentari del centrodestra». Cicchitto, l’altro capogruppo del Pdl, invece parla di «gravissima intromissione della Procura nella libera dialettica parlamentare», scatenando un putiferio. L’Anm gli risponde male: «L’apertura di un’inchiesta sulla presunta compravendita di parlamentari - dice il presidente Anm, Luca Palamara - non è assolutamente un’intromissione». Però si scopre che l’inchiesta non è partita dalla denuncia di Di Pietro, che ha solo integrato un altro fascicolo già aperto dal procuratore aggiunto Alberto Caperna, sulla base di articoli di stampa riguardanti la presunta compravendita di senatori. L’inchiesta procederà per il momento senza rubricare ipotesi di reato e contro ignoti (non ci sono indagati). «Ma per contestare una fattispecie servono riscontri precisi», si sottolinea negli ambienti della Procura.
Insomma siamo al tutti contro tutti, giusto per alimentare la confusione nei giorni già confusi del pre-fiducia. Già che c’è Di Pietro perché non anche Borrelli? E infatti lo interpellano e l’ex capo di Mani pulite spiega: «Compravendita di parlamentari? Se corre denaro è corruzione». Se invece cambiano casacca (alcuni anche più di una volta) per calcoli di convenienza, no. Però anche se non c’è reato le migrazioni delle ultime ore indignano non poco Fini, che per un attimo dimentica la sua famosa solfa del «rispetto del Parlamento» (da leggersi con la «e» apertissima finiana) e dà dei cialtroni ai deputati (di cui è presidente) che si danno al «calciomercato».
Il clima è surriscaldato e dà facilmente alla testa. Il verde Bonelli (bruciato sul tempo da Tonino, perché anche lui voleva rivolgersi alla Procura) invoca «gli osservatori Osce» per il voto di fiducia del 14. E i caschi blu, quelli no? In effetti, se ci si calma un po’, si può vedere che il mercato delle vacche non è iniziato l’altroieri ma si è aperto da tempo. Solo per restare a questa legislatura, sono circa 80 i deputati che, una volta eletti, hanno voltato gabbana. Ci sono interi partiti che non esistevano quando si è votato: l’Api di Rutelli, il Fli di Fini, l’Adc di Pionati, i Libdem, i Popolari d’Italia, NoiSud. Casini si ribella: «Non siamo tutti in vendita nel Palazzo».
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