Paolo Bracalini - Gian Marco Chiocci
Non è tanto la cifra che impressiona (7mila e 200 euro) ma l’interrogativo, che sorge spontaneo: Antonio Di Pietro nel 2002 ha usato i soldi del «suo» partito per pagare i lavori della «sua» abitazione romana? La domanda, più che legittima, viene sollevata alla luce di un documento rimasto al buio per anni e che il Giornale ha rintracciato in originale dopo che a farne specificatamente cenno è stata la monumentale opera sulla carriera di Antonio Di Pietro (Il Tribuno, Castelvecchi editore) scritta dal giornalista Alberico Giostra, da venerdì in libreria.
Del presunto pagamento avvenuto attingendo alla cassa dell’Idv aveva inizialmente parlato anche quel Mario Di Domenico, amico del cuore e braccio destro dell’ex pm nonché cofondatore dell’Idv, che s’era impelagato in una causa penale trascinando in tribunale proprio Tonino (poi prosciolto dal gip) al quale addebitava una gestione allegra, personale, familiaristica, delle finanze del partito. Di Domenico temeva infatti che all’indomani dei primi rimborsi elettorali riferibili alle politiche del 2001 l’eccessiva identificazione di Antonio Di Pietro con il soggetto giuridico Italia dei valori «potesse dare luogo ad abusi» visto che Di Pietro, «delegando le operazioni contabili alla fedelissima Silvana Mura - osserva Giostra - aveva accentrato su di sé anche il controllo delle finanze del partito». Nessuno, nel partito, poteva curiosare nella contabilità. E se pure lo statuto prevedeva che solo i tre soci originari (Di Pietro, Di Domenico, Mura) erano deputati all’approvazione dei bilanci, secondo Di Domenico di fatto era esclusivamente l’ex pm a provvedere all’approvazione, come dimostra la sola firma in calce di Tonino per il bilancio 2005.
In questo clima di sospetti e cattivi pensieri si inquadra la vicenda dei lavori svolti nell’appartamento romano, personale, del leader Idv in via Merulana 99, appartamento così descritto dall’interessato, sulle colonne di Libero, per replicare a un’inchiesta del Giornale, il 9 gennaio 2009: «Sempre a Roma sono proprietario dell’appartamento di via Merulana ove abito quando mi reco lì per ragioni legate al mio lavoro di parlamentare. L’ho comprato prima dei rimborsi elettorali, nel 2001 per 800 milioni di vecchie lire (di cui, come al solito, parte in mutuo)».
La fattura in questione viene emessa il 18 novembre 2002 ed è intestata a Italia dei valori, via Milano 14, Busto Arsizio, Varese. La vecchia sede del partito. Il codice fiscale riportato è proprio quello dell’«associazione» Italia dei Valori (90024590128) ma nella descrizione dell’opera svolta si legge: «Lavori per vostro ordine e conto svolti nella sede sociale di via Merulana 99 Roma, imbiancatura e stuccatura pareti, riparazione idraulica». Sede sociale? In via Merulana 99 - come ha specificato lo stesso Di Pietro - non si trovava alcuna sede sociale dell’Italia dei valori bensì l’appartamento privato di proprietà di Di Pietro e dove il leader dell’Idv viveva e vive tuttora quando si trovava nella capitale. «L’ex pm si era forse pagato i lavori di ristrutturazione coi soldi del partito?», si chiede Giostra. Il documento sembra parlare da solo, non prova automaticamente che Di Pietro ha messo mano alle casse dell’Idv, «ma rende lecito sospettarlo» taglia corto l’autore.
A proposito di case e di Tonino. Nel libro si ripercorre, nel dettaglio, l’inchiesta del Giornale sull’«Italia dei Valori immobiliari». E si rifanno i conti in tasca al deputato molisano, perché «resta ancora da capire dove Di Pietro abbia trovato tanti soldi per comprare così tante case». E allora vediamoli questi conti: Di Pietro su Libero ha scritto che dal 1996 a oggi ha guadagnato un milione di euro netti, a cui si debbono aggiungere 700mila euro per risarcimenti da diffamazioni a mezzo stampa. A questo milione e settecentomila euro vanno però sottratti più o meno 500mila euro «spesi in dieci anni fra soldi per vivere e mutui da pagare». Restano un milione e duecentomila euro. Da qui il calcolo sui soldi spesi per le case: mutui esclusi, si arriva a 2milioni e 900mila euro. Ne ha incassati 1 milione e 750mila dalle vendite di Busto Arsizio e via Principe Amedeo a Roma, cui bisogna sottrarre i soldi dati indietro agli istituti di credito per i mutui, ovvero 400mila euro. «L’incasso netto diventa, così, un milione e 350mila euro», scrive Giostra. Dei 2 milioni e 900mila euro spesi si scende perciò a 1 milione e 550mila circa. Una cifra nettamente superiore a quanto Di Pietro ha detto di aver incassato. «Se poi Tonino ha per caso comprato anche gli appartamenti per sua moglie e suo figlio Cristiano, dobbiamo aggiungere tra i 700 e gli 800mila euro» per un totale di 2milioni e300mila euro.
E i conti sembrano non tornare nemmeno rispetto ai 300 milioni di lire dell’eredità Borletti che Di Pietro ha messo sul piatto delle compravendite
immobiliari quando la stessa contessa glieli donò per l’attività politica (e così erano stati registrati alla Camera) e non immobiliare dell’Idv.paolo.bracalini@ilgiornale.it
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