Pitti e la tradizione: così l'eleganza italiana è un affare di famiglia

La sfilata inaugurale di Stefano Ricci, simbolo delle aziende della moda che si tramandano di generazione in generazione. E danno un futuro all'Italia

diSiamo un risultato del passato oppure una causa del futuro? Ecco la domanda cui bisognerebbe rispondere quando si parla di generazioni, tema forte dell'edizione numero 89 di Pitti Uomo a Firenze da oggi fino al prossimo giovedì. I giochi sono iniziati ieri sera con l'eccezionale evento organizzato da Stefano Ricci al neonato Museo dell'Opera del Duomo per presentare la nuova collezione SR Junior: lo stile dei padri a misura fisica e mentale dei figli dai 6 ai 14 anni. «Non è una linea di moda baby, semmai completa la proposta da uomo con una sfida: tramandare valori estetici universali con l'etica del bel vestire personale» spiega lo stilista-imprenditore fiorentino per cui il lusso è un minimo sindacale mentre l'eccellenza è intesa come necessità. I numeri gli danno ragione: 115 milioni di euro di fatturato con 500 dipendenti diretti nei due stabilimenti di Fiesole e nell'Antico Setificio Fiorentino. Alla serata intitolata «Nel nome del figlio» hanno partecipato 100 ospiti internazionali deliziati dalla visita notturna al museo e dalla cena servita a 20 metri dalla Pietà di Michelangelo e dalla Maddalena Lignea di Donatello. «Devo tutto a Firenze e ai miei cari» sostiene Ricci affiancato anche nel lavoro dalla moglie Claudia e dai figli figli Filippo e Niccolò. Per dimostrare che la moda italiana è un affare di famiglia basterebbero i casi eclatanti di Missoni, Zegna e Ferragamo. Del resto in Italia ci sono oltre 5 milioni di aziende a conduzione familiare che influiscono sul Pil per quasi l'80 % dando occupazione al 75% della forza lavoro nazionale. Purtroppo solo il 35% delle imprese mantiene la stessa proprietà nel passaggio del testimone dai padri ai figli e la percentuale scende al 15% quando entrano in scena i nipoti. Visto che così facendo si perde l'identità del progetto, la moda ha il buon senso di cautelarsi. I Ferragamo, per esempio, hanno istituito la regola del tre: solo tre dei membri della terza generazione possono entrare in azienda dopo aver lavorato almeno tre anni altrove. In casa Zegna e soprattutto dai Missoni non ci sono regole tranne quelle dell'inclinazione personale: chi vuole e sa fare qualcosa di utile entra del clan, gli altri continuano a farne parte per nascita. È un modello che funziona un po' per tutti. Esemplari i casi di due aziende lombarde: Corneliani e Canali. Negli anni Trenta a Mantova Alfredo Corneliani fonda l'industria che nel 1958 passa ai suoi figli Carloalberto (tuttora presente e operativo) e Claudio. Adesso è la volta dei nipoti: Corrado (direzione prodotto e logistica), Maurizio (finanza, affari legali e marketing strategico) Sergio (direzione creativa) e Cristiano (direzione Commerciale). Anche nel Gruppo Canali (1600 dipendenti e 7 unità produttive sparse tra la Brianza, le Marche, l'Abruzzo) sono alla terza generazione. L'azienda è stata fondata nel 1934 da Giovanni e Giacomo Canali, rispettivamente nonno e prozio dei cinque figli dell'attuale presidente e amministratore delegato: Eugenio Canali. «Noi siamo all'ottava generazione nel tessile-abbigliamento: la storia della mia famiglia marcia in parallelo con quella del nostro Paese» ama dire Carlo Rivetti. In effetti nel 1872 un suo avo fondò a Biella un lanificio che poi sarebbe diventato il Gruppo Finanziario Tessile di Torino, agli inizi del XX secolo la più grande azienda italiana, più grande perfino della Fiat. Furono i Rivetti a spiegare a Mussolini che per favorire le esportazioni dei tessuti italiani nel mondo bisognava far passare la Milano-Torino da Biella. Ecco perchè la prima autostrada costruita in Italia non corre in linea retta. Il nonno di Carlo, Adolfo detto Delfo, morì d'infarto nel letto di Wanda Osiris ad appena 39 anni mentre suo padre misurò 25 mila italiani per mettere a punto il sistema delle taglie nel nostro Paese e suo cugino, Marco Rivetti, ha di fatto inventato il prét à porter italiano. Lui è una persona squisita che ha visto e superato cose indicibili e che forse ora si può cominciare a rilassare perché Stone Island, l'unico marchio rimasto in mano a un membro della famiglia Rivetti, ha chiuso il 2015 con un sonoro più 10% a 87,1 milioni di euro. Meno intricata ma ugualmente affascinante la storia degli Isaia che cominciano negli anni Venti con il negozio di tessuti aperto nel cuore di Napoli dal nonno Enrico con annessa un piccolo laboratorio sartoriale da uomo. Nel '57 i fratelli Enrico, Rosario e Corrado trasferiscono l'azienda a Casalnuovo, un comune alla periferia della città dove metà abitanti sono sarti. Oggi a guidare l'impresa che vanta 200 dipendenti e una solida fama di eccellenza, c'è la terza generazione: Gianluca, il terzo Enrico della famiglia, Massimiliano e Alessandra. Stessa storia ambientata però nelle Marche per i quattro fratelli Lardini. Loro sono «solo» al secondo round ma è questione di tempo perché al Pitti incontreremo come sempre il presidente Andrea Lardini, suo fratello Luigi responsabile dello stile e le sorelle Lorena e Annarita rispettivamente responsabili della parte finanziari e e del controllo prodotto. Alcuni dei loro figli sono già all'opera. Alessio, 32 anni, figlio di Andrea segue le collezioni uomo. Genea, 30 anni, figlia di Luigi si occupa della donna, mentre sua sorella, Brenna, 28 anni, lavora nella comunicazione.

I figli di Lorena (Clio, 32 anni e Leo, 36) sono rispettivamente coinvolti come fotografa dei vari brand e nella linea firmata Gabriele Pasini. L'ultimo entrato è Alberto, 23 anni, figlio di Annarita. Lui sta facendo la gavetta ai servizi tecnici industriali. Gli altri vanno ancora a scuola.

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