Il playboy e il rampollo la strana coppia diventata assassina

Uniti dalla fame di soldi: Botteri prometteva facili guadagni in cambio di prestiti

nostro inviato a Parma
Inutile provarci. La Titti, trincerata nella casa di Basilicagoiano, manda al diavolo chiunque telefoni o citofoni. Perché da lunedì lei, Letizia Botteri, di agiata famiglia parmigiana, sa che la luce dei suoi occhi, il figlio Filippo, è finito in cella per aver rapito e ucciso insieme a due complici il finanziere Gianmario Roveraro. Inutile provarci anche con i clienti abituali della «Centrale del Latte» o del «Barino», i ritrovi della Parma da bere dove lui, bello, dannato e cucador, fino all’altra sera era il primo collezionista di conquiste. Ora lì è solo un girar di spalle. Inutile, infine, andare a cercare nella lunga lista delle ex che se lo erano conteso come gatte, con le unghie e con i denti. Sparite tutte: via in ferie o squagliate sotto i 40 gradi che cuociono il «Pratone» della Pilotta.
Eppure qualcosa, qualche frammento della vita di questo sedicente finanziere si riesce a raccogliere. Come il fatto che dal padre naturale, un assicuratore scomparso anni fa, anch’egli esponente di una rispettata famiglia - gli Zanichelli - Filippo avesse ricevuto la «sostanza» della vita, ma non la «forma» del cognome. Storia delicata, questa: un unico fidanzato per due sorelle. Una di quelle storie da tenere al riparo dalla luce, dietro gli scuri della discrezione familiare. Meglio ancora, facendo nascere il figlio della colpa in Svizzera, un Paese piccolo dove la gente però non mormora. Figuriamoci se lo fanno i banchieri!
E l’intraprendente Titti, in Svizzera è di casa da sempre. Per anni avanti e indré. Per sé, per il figlio, ma anche per altri, per quelli che avevano paura e si chiedevano: «Questa Italia... i miei risparmi... dove andranno a finire?». Lei aveva la risposta. Forse è così che Filippo è cresciuto con la passione per i soldi. Per quelli che gli mancavano sempre, che si illudeva di poter fare, che chiedeva nelle infinite collette agli amici, visto che con le banche non ci provava nemmeno. E allora, tra una tartina e un Bellini, giù a provarci con quelli del bar: «Dai, è un affare, in poco tempo si moltiplicano». Ma quando? Ma dove?
Un altro, che di soldi veri ne avrebbe potuti invece avere - e tanti - è il suo compare, Emilio Toscani. Scavando nel suo passato, affiora una di quelle storie che, citando Guareschi, possono nascere soltanto «in questa terra dove il sole picchia martellate in testa alla gente». Affiora con il nome di quello che sarebbe stato poi il suo nonno materno, Emilio Tonelli, un artigiano di ingegno che negli anni Cinquanta aveva fondato un’azienda diventata realtà industriale invidiata in tutto il mondo. Era fratello di latte di Pietro Barilla, dato che avevano succhiato al capezzolo della stessa balia. Ma una volta diventati uomini, il loro latte per crescere fu invece la pasta: Emilio a fabbricare i macchinari per farla, Pietro a produrre spaghetti. E via così, anno dopo anno: sempre più macchinari, sempre più spaghetti, sempre più zeri nell’ultima cifra dei bilanci.
Tonelli aveva in azienda un dipendente d’oro, uno più bravo degli altri. Peccato, ai suoi occhi, che fosse un irrimediabile comunista. Perdipiù, quel ross maledet dimostrava anche evidenti attenzioni proprio nei confronti di sua figlia. Tant’è che nove mesi dopo sarebbe nato un figlio, battezzato Emilio in onore del nonno. Ma in fin dei conti, un genero così gli conveniva. Perché il comunista si rivelò un imprenditore di primo livello: un asso a gestire, progettare e perfino a vendere. E cominciarono a piovere soldi, tanti da non poterli contare. E con i soldi, le distrazioni. Finché la moglie, stanca di corna, disse «Basta!». Scacciando però di casa, con il marito fedifrago, la gallina dalle uova d’oro.

Senza più quella guida, la Tonelli andò a picco nel giro di niente (è fallita nel ’99) con il concreto contributo del Toscani junior, uno capace di bruciare in molto meno di un niente cifre da capogiro, ossessionato da quell’idea che rivelò un giorno a un vicino: «Se devo fare la vita del povero, piuttosto mi uccido». Invece ha ucciso un altro. Vigliacco, fino in fondo.

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