Non poteva essere più cordiale l'incontro tra i «due presidenti», Bush in partenza e Obama in arrivo. Si sono salutati, parlati, abbracciati molto al di là di quanto richiedesse il protocollo o sia uso. La comunanza, però, è finita lì. Perché la sostanza dell'allocuzione inaugurale del nuovo inquilino della Casa Bianca si ritrova in diversi e incisivi segnali di discontinuità. Non tanto in politica interna, dove c'è una ampia zona di sfumature, naturali nel passaggio da un'Amministrazione repubblicana a una democratica, quanto nella enunciazione di principi e, conseguentemente, di proposte che riguardano le priorità e la strategia dell'America nel mondo.
La frase che in molti ha sollevato la maggiore attenzione riguarda la «guerra al terrore», cardine dell'azione di Bush («terrorista» è rimasto, «guerra » no) e l'impostazione nei rapporti con il principale avversario dell'America di oggi. «Nei riguardi del mondo islamico noi cerchiamo una nuova strada basata sui reciproci interessi e sul rispetto reciproco». Meno di un minuto prima Obama aveva delineato l'ampiezza dell'eredità culturale dell'America, dichiarandola «una forza e non una debolezza» e definendola: «Siamo una nazione di cristiani e di musulmani, di ebrei e di indù e di non credenti». Frase che aveva già pronunciato la primavera scorsa in un incontro con dei leader religiosi a Filadelfia, ma che oggi suscita maggiore attenzione. Probabilmente riguarda la politica interna (una rivendicazione di «pluralismo» ribadita in un breve passaggio, «restaurare la scienza nel posto che le spetta», in polemica con le preoccupazioni religiose e morali di Bush).
Ma il discorso si completa con altri accenni: per esempio in una marcata attenuazione dei toni circa i modi di affrontare pericoli e conflitti. Obama riafferma la superiorità dei valori democratici, ammonisce quei governanti che «cercano di seminare zizzania», ripete che quei regimi «sono dalla parte sbagliata della Storia», ma si dice pronto a «tendere la mano se sarete disposti ad allentare il pugno ». Soprattutto perché il nuovo presidente impegna l'America a restituire il primato ai propri antichi ideali, alle alleanze. «La nostra potenza da sola non ci può proteggere e non ci autorizza a fare quello che ci pare. La potenza si accresce quando è usata con prudenza». E quando i principi tornano a essere al di sopra di tutto il resto.
Anche nel difenderci sarebbe errato scegliere «fra la nostra sicurezza e i nostri ideali. Sono quelli che illuminano il mondo e non vi rinunceremo per nessun motivo». Un chiaro accenno, del resto non inatteso, a imminenti decisioni della nuova amministrazione permettere fine alle pratiche illegali introdotte dall'amministrazione Bush dietro lo choc della strage terroristica del settembre 2001 a New York. Affermazioni interessanti, anche perché pronunciate in un momento particolarmente caldo e assieme alle dichiarazioni di intenzioni di Obama riguardo l'Irak («lo restituiremo, responsabilmente, al suo popolo») e all’Afghanistan («vi costruiremo una pace guadagnata duramente»).
Per il pubblico americano, probabilmente, il cardine della prima allocuzione di Obama sarà l'enunciazione dei programmi per affrontare la crisi economica. Che partono da una valutazione allarmata della situazione, dal riconoscimento della sua gravità. Il nuovo presidente ha ribadito che «il mercato è uno strumento ineguagliato per creare la ricchezza ed espandere la libertà», ma ammonito che «il mercato può andare fuori controllo», ha aggiunto che «non può prosperare una società che favorisca solo i prosperi», ha preannunciato riforme «rapide e coraggiose» per creare nuovi posti di avoro e gettare «nuove fondamenta per la crescita economica». Anche su questo tema Obama ha dunque riallacciato direttamente l'impegno presidenziale con le promesse della campagna elettorale, comprese quelle controverse come la «espansione della ricchezza» che i suoi avversari ritennero equivalente a «una redistribuzione» e lo accusarono di «idee socialiste».
Ma forse in questo egli ha sentito il bisogno di toccare le corde più sensibili della folla cui si rivolgeva, più «multirazziale» che in qualsiasi altra «inaugurazione» e anzi prevalentemente di colore, del suo colore. E che forse richiedeva un riconoscimento che unisca e non divida.
Eccoil perché del ringraziamento che Obama ha espresso a tutti coloro che hanno creato l'America, dagli immigranti a coloro che hanno lavorato duro nelle fabbriche, ai pionieri del West e coloro che «hanno subito il bruciore della sferza». E infine coloro che hanno dato la vita per l'America sui terreni di battaglia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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