Pm, la caduta di Garzon: oggi il Di Pietro spagnolo imputato per corruzione

È accusato di aver preso soldi da una banca per un ciclo di conferenze in Usa e di averne poi assolto il presidente. Il magistrato sotto inchiesta per altri due casi

Pm, la caduta di Garzon: 
oggi il Di Pietro spagnolo 
imputato per corruzione

Un megalomane. In spagnolo: megalòmano. Uno che trovando la Spagna troppo piccola per le sue ambizioni di Torquemada planetario mise sotto processo (fra gli altri, si capisce) i generali argentini, l'ex segretario di Stato Henry Kissinger, Berlusconi, il governo degli Stati Uniti e Pinochet. Trattasi di Baltasar Garzòn Real, giudice titolare del Juzgado Central de Instruccion numero 5; l'unico giudice al mondo ad avere il nome di uno dei re Magi; star di prima grandezza (lui unico e solo: alzi la mano chi ha mai sentito dire di un altro magistrato che operi tra Barcellona e Finisterre) della Giustizia iberica.

Bene, proprio lui, il pm più fico del Juzgado Central, il giudice forse più famoso e più scortato al mondo, dovrà comparire il 15 aprile davanti al Tribunale supremo di Madrid nella veste di imputato. Le accuse? Ma no, niente, una bazzecola: presunta corruzione e prevaricazione. Ad accusarlo sono due avvocati secondo i quali Garzon avrebbe svolto un ciclo di conferenze negli Stati Uniti fra il 2005 e il 2006 incassando 216mila euro dal Banco Santander. Peccato che al suo ritorno in Spagna, invece di spogliarsi dei suoi panni di pubblico ministero in una causa che vedeva sul banco degli imputati proprio il presidente del munifico Banco Santander, Emilio Botin, Garzòn non lo avesse assolto in istruttoria con una delle sue spettacolari veroniche.

Un incidente di percorso, questo di Garzòn, che pare seriamente destinato ad appannare la sua stella e a mettere un'altra zeppa nelle sue aspirazioni politiche, non avendo egli mai nascosto la sua voluttà di ricalcare (anticipandole anzi, come accadde ai tempi del premierato del leader socialista Felipe Gonzales, in cui fu sottosegretario) le orme di Antonio Di Pietro.

Sposato, tre figli, appassionato di sport estremi e roso da una devastante ambizione, Baldassarre Garzòn si mise in luce una volta per tutte al tempo in cui spiccò un mandato di cattura internazionale per l'allora moribondo generale cileno Augusto Pinochet. La cosa, naturalmente, finì in una bolla di sapone, come molte delle inchieste planetarie di Garzòn. Nate per deflagrare sui giornali e in televisione, accompagnate dalla sua faccia e dal suo nome scritto grande in cartellone, le inchieste di Garzòn durano in genere lo spazio di un mattino. Vale l'annuncio, dell'inchiesta. Il seguito, il come va a finire, si perde sempre in un fil di fumo che balugina laggiù, all'orizzonte, mesi dopo, quando tutti si sono ampiamente dimenticati di quei titoloni. Ne abbiamo diversi anche in Italia, di giudici così. Meglio non fare gabbo.

Una volta che si annoiava forse più del solito, Garzòn mise nel mirino anche il Segretario di Stato americano Henry Kissinger per il ruolo da lui svolto (da lui e dalla Cia, s'intende) nell'instaurazione di certe dittature in America latina negli anni Settanta, in quella che passò alla storia come «Operazione Condor».

L'elenco dei suoi clamorosi insuccessi è sterminato. Fra le sue bestie nere ci fu anche Berlusconi. Poi fu la volta del governo Usa del presidente Bush per i musulmani carcerati a Guantanamo e la guerra in Irak. Annunci, titoloni. Poi il nulla, come sempre. Il colmo, quanto a verve comica, lo raggiunse con un mandato di cattura spiccato contro Osama Bin Laden.

Questo del Tribunale madrileno è il terzo procedimento aperto nei suoi confronti nel giro di pochi mesi. Garzòn è sotto inchiesta anche per presunta «prevaricazione» per una inchiesta - archiviata dopo poche settimane, naturalmente - sugli scomparsi del franchismo nonostante l'amnistia generale votata dal Parlamento di Madrid.
Il tribunale Supremo deve anche pronunciarsi su un terzo ricorso contro i metodi del «megalòmano» di Madrid, per avere ordinato la registrazione di conversazioni fra i loro avvocati e gli imputati in carcere nell'inchiesta sulla «tangentopoli iberica». E non è finita.

Il Consiglio Generale del Potere Giudiziario (il Csm spagnolo) deve ora decidere se sospenderlo subito dall'incarico, in forma cautelare, in attesa delle sentenze del Tribunale Supremo. Ma Garzon pare destinato a cadere in piedi. Mal che vada, il primo ministro socialista Zapatero gli offrirà un «piano B», si dice, e un bell'incarico internazionale. In tutti i casi: un carrierone.

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