La cantonata dei tre pm. Così la nave spagnola ha cercato il casus belli

Altro che sequestro: Open Arms arrivò in Italia soltanto grazie al Tar

La cantonata dei tre pm. Così la nave spagnola ha cercato il casus belli
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È finita come era prevedibile. Il sequestro non stava in piedi, o meglio il reato contestato era sproporzionato rispetto ai fatti. Salvini è stato dipinto come una sorta di aguzzino, capace di tenere in quella prigione galleggiante e traballante più di cento persone per giorni e giorni. Ma le cose non stavano così e il tribunale di Palermo le ha messe in chiaro. E ci fosse la separazione delle carriere anche questa differente valutazione sarebbe più comprensibile.

La Open Arms si muove avanti e indietro nel Mediterraneo e resta in quei mari dal 1 al 20 agosto 2019. Nel giro di qualche giorno effettua tre salvataggi e però nessuno nelle acque italiane. Ma i comandanti del natante appartenente alla ong spagnola hanno una sola idea in testa: arrivare in Italia e sbarcare in Italia. Esattamente quel che infine accadrà il 20 agosto, con la discesa a Lampedusa. Sono i presunti sequestrati, o meglio l'equipaggio della nave, a farsi sequestrare. Il presunto sequestratore cerca in tutti i modi di allontanarli, ma loro stazionano in quell'area, chiedono insistentemente il Pos, tecnicamente place of safety, a Roma, poi si rivolgono alle autorità giudiziarie. E sfondano grazie al Tar. È il Tar che li fa entrare, non è Salvini che li costringe.

Dove è il sequestro? Si può naturalmente non condividere la linea dura, quella dei porti chiusi, scelta dall'allora titolare del Viminale, ma le obiezioni faticano a trasformarsi in capi d'imputazione che scomodano, anzi impegnano il codice penale. La critica sì, la requisitoria anche no. E stupisce, pur nel guazzabuglio delle regole, delle norme, dei trattati internazionali da cui ciascuno può pescare quello che ritiene, la durezza della procura di Palermo nel chiedere addirittura sei anni. Dove sarebbe la privazione della libertà? Chi sta male, veniva fatto scendere d'autorità dal medico. E in quei lunghissimi e faticosi diciannove giorni sono molti, decine e decine, i migranti evacuati per le non perfette condizioni fisiche. La nave non è un carcere, ma non solo: perché il comandante della Open Arms rifiuta ogni ipotesi alternativa? No alla Libia, e ci può pure stare, ma poi no alla Tunisia, no alla Spagna, no a Malta che avrebbe accolto almeno i trentanove naufraghi salvati il 10 agosto. No e solo no, una sequenza impressionante di no. Più che un sequestro sembra un braccio di ferro e Open Arms ha un solo obiettivo irrinunciabile: la Spagna in fondo era a portata di mano, due o tre giorni di navigazione. E invece i migranti restano lì, immobili, fra ricorsi e contro-ricorsi. Dove è il crimine? Nelle repliche ieri mattina la procura prova a metterci una pezza: Salvini aveva l'obbligo di dare il Pos, ma non si capisce il perché. E la formula assolutoria, perché il fatto non sussiste, è la più ampia possibile: in sostanza ci dice che la procura si è spinta su una strada che era sbarrata. Certo, leggeremo le motivazioni e capiremo meglio. Ma non c'erano gli elementi del reato. Hanno preso, per dirla senza spagnolismi, una cantonata.

E però un'ulteriore riflessione deve essere fatta, oltre l'orizzonte di Palermo: le vicende di Genova, dove è caduta la giunta Toti, Firenze, con Renzi, e ora Palermo, ci insegnano che il magistrato tende sempre più a sostituirsi al legislatore, a sua volta incerto e quasi smarrito nella foresta normativa, e così il giudice può arrivare a processare infiniti comportamenti e innumerevoli atti. Ma questa onnipotenza diventa fatalmente un limite.

Perché altri magistrati mettono un argine e fissano di nuovo un confine invalicabile. Di là il parlamento che scrive le regole, di qua i magistrati che non devono ritoccarle ma sono chiamati a punire i trasgressori. Parole ovvie, ma questo è il nodo del conflitto in corso fra poteri nel nostro Paese.

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