Un antico compagno di studi si rifà vivo con Silvio Ramat inviandogli «centinaia e centinaia di epigrammi del suo Canzoniere», unestatica e appassionata storia damore poi mutata in un diario doloroso della propria sconfitta, senza speranza, ma infine acquietata da una mestizia forsanche religiosa: «Liquefatta ormai la cera/vacillano le luci sugli altari». E Ramat accetta il cortese invito: comporre, scegliendo gli epigrammi migliori, unantologia di quantità e ispirazione petrarchesca intervenendo per mettere in sesto eventuali componimenti dissestati. Tutto ciò è narrato nel breve capitoletto iniziale di questa elegante, agile e originale silloge di versi del prestanome Ramat (Il Canzoniere dellamico espatriato, Viennepierre, pagg. 109, euro 15). È un poemetto composto da 366 strofe di quattro versi a rima incrociata, un tour de force dimpegno stilistico, di cui il vero autore vuole rimanere segreto. La storia è avvincente anche se insolita: un signore anziano (intellettuale? insegnante?) sinnamora di una fanciulla (sua allieva? Nel testo è definita così una sola volta), che lo ricambia, per poi distaccarsene, anche con progressivi accorgimenti sempre più espliciti, e infine, crudeli: «pensa alla tua dignità che stai perdendo», definendo così il tentativo dellanziano amante di protrarre quel rapporto che lei considera finito.
Il lavoro del prestanome - e correttore - deve essere stato duro, ma delloriginale ha lasciato alcune imprecisioni metriche e quelloscillazione fra discorso «alto» e sermo familiaris, e addirittura, a volte, inserti lessicali presi a prestito dalla pubblicità e dal linguaggio mediatico. Ne risulta unopera originale, e forse un unicum nella storia della poesia, per questa sovrapposizione non solo di due livelli stilistici, ma anche di due diversi versi di autori. Il divertissement che procura la lettura corregge la tristezza della vicenda drammatica narrata e «cantata», restituendogli grazia, e a volte persino il sorriso e la musicalità della poesia. Due esempi: «lo pretendo, lo esigo.... Meritavo/ da te due verbi così padronali? Mi spezzavi in un attimo le ali./ Ma sì ubbidisco... Rimango il tuo schiavo».
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