In una serie televisiva di successo i numeri vengono utilizzati per risolvere crimini e scovare malfattori. Una cosa del genere sta succedendo nel mondo politico e dell’informazione in Italia. Da un po’ di tempo numeri, dati e statistiche stanno prendendo il posto di confronti dialettici e di contrapposizioni ideologiche. È inevitabile che in un periodo di crisi economica si faccia ricorso all’esame dei conti e alle verifiche dei centesimi, ma è incoraggiante - e liberatorio - che questo avvenga finalmente in un Paese in cui l’intero ambaradan politico-amministrativo si è sempre basato sulle chiacchiere, sulle disquisizioni ideologiche, sugli avvitamenti ideologici e sulle elucubrazioni retoriche e poco, troppo poco, sull’esame delle realtà oggettive, dei fatti e dei numeri. Anzi, la casta di avvocati, di fini dicitori, di politici puri (si fa per dire) e di «pagliette» che stipa le aule parlamentari e i posti che contano non ha in realtà mai affrontato responsabilmente l’aritmetica che sta alla base dei bilanci e della buona amministrazione, ma ha sempre trattato i numeri come una fastidiosa sovrastruttura, come meschino affare di ragiunatt poco portati ai voli alti delle ideologie. Insomma quelli che contano, non contano, nel senso che non sanno contare. A meno che si tratti di balle.
Di questo salvifico cambiamento dobbiamo ringraziare alcuni commentatori coraggiosi come Luca Ricolfi, e ora anche il ministro Tremonti e il nostro giornale che i conti li sbatte finalmente in prima pagina. In realtà a farlo aveva cominciato più di quindici anni fa una piccola rivista, i Quaderni Padani, che essendo di area autonomista è però sempre stata trattata con sufficienza. In tutto questo tempo ha raccolto e pubblicato senza commentarla in pagine non a caso chiamate «Rubrica silenziosa» una serie enorme di dati statistici da brivido a proposito delle varie regioni della penisola.
L’evidenza dei numeri è tale da non richiedere alcun commento: la differenza però fra le statistiche che sono sempre comparse e che sono con generosità reperibili anche in molti siti Internet e quelle dell’ultima generazione è data dalla scelta dei temi e dal modo di porgerli. Troppo spesso essi erano presentati frammentari o disaggregati, si davano solo indicazioni a campione (le Regioni più virtuose e le meno), si faceva una grande insalata di cose più o meno importanti e fra di loro poco comparabili: da molto un noto quotidiano economico pubblica una annuale e dettagliatissima «classifica» fra le province italiane basata su uno strano pot-pourri di numeri pesanti che riguardano l’economia, la produttività e la criminalità e altri, come quelli su clima, inquinamento e attività del tempo libero che non hanno stretta valenza politica. Rendere noti i numeri veri, schiaffarli in faccia a una opinione pubblica distratta da mille altri segnali meno importanti, significa dare consistenza alle sensazioni, rinforzare percezioni, moltiplicare il disagio e la voglia di reazione di chi trova scolpita nelle cifre la propria deprivazione, la rapina delle sue risorse e la perequazione scriteriata, quando non maliziosa delle stesse.
I malumori e le insofferenze vengono fissati nei numeri, la statistica diventa manifesto programmatico, l’aritmetica diviene stimolo di azione politica. Questa funzione rivoluzionaria delle cifre sarebbe piaciuta a Carlo Cipolla che ci avrebbe sicuramente costruito con la solita ironia qualche «legge comportamentale» per gli italiani - e soprattutto per i padani - che non percepiscono le angherie cui sono sottoposti se non dopo che queste vengono certificate su un libro contabile. Insomma, quando vengono rapinati si limitano a mugugnare, ed è solo quando il dato della rapina viene reso pubblico che si incazzano.
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