Caccia al miliardo degli Agnelli: i magistrati setacciano 10 anni di "buio"

Quel conto riconducibile all’Avvocato nella filiale di Zurigo di Morgan Stanley

Caccia al miliardo degli Agnelli: i magistrati setacciano 10 anni di "buio"
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Forse allora i tempi non erano ancora maturi. Dieci anni fa il lato oscuro di casa Agnelli era già emerso, nell’inchiesta della Procura di Milano che anticipava quanto stanno trovando ora i pm torinesi: nelle carte si parlava della «verosimile esistenza di un patrimonio immenso in capo» a Gianni Agnelli «le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti», grazie anche alla «disponibilità di schermi societari attraverso cui detenere beni celandone provenienza e titolarità».

Ma allora era ancora viva Marella Agnelli, moglie di Gianni, erano vivi numi tutelari della Casa come Cesare Romiti e Gianluigi Gabetti. Le autorità di Svizzera e Liechtenstein ebbero buon gioco nel rifiutare le richieste di assistenza avanzate dai pm Eugenio Fusco e Gaetano Ruta. E l’indagine finì in archivio.

I dieci anni trascorsi vengono ora passati al setaccio dalla Procura di Torino, nell’indagine che sta terremotando l’impero Agnelli.

Tornano utili testimonianze raccolte all’epoca da Fusco come quella del banchiere svizzero Paolo Revelli, ex managing director di Morgan Stanley. È lui ad aver parlato di un conto riconducibile all’Avvocato nella filiale di Zurigo e con dentro «tra gli ottocento milioni e un miliardo di euro», che convinsero la Procura milanese della «volontà (di Gianni Agnelli, ndr) di occultare denaro che costituiva il provento di appropriazioni indebite in danno di società e soci del gruppo industriale facente capo alla famiglia Agnelli». Ma ora l’inchiesta dei pm torinesi, guidati dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio, ha davanti a sé spazi ben più vasti: perché se allora gli Agnelli facevano ancora quadrato, ora lo scontro sull’eredità apre praterie per l’inchiesta, dove iniziative polemiche e spesso scomposte gettano squarci di luce sulle operazioni compiute nei dieci anni sotto esame, sia prima che dopo la morte di Marella nel 2019.

Tutto, come è noto, ruota intorno all’incertezza sul reale domicilio della vedova di Gianni: secondo la figlia Margherita la madre non abitava più in Svizzera ma a Torino, e questo renderebbe nullo il patto ereditario firmato da Margherita stessa (che in Italia non è lecito). Il dato è cruciale, e questo spiega la dura reazione dei tre fratelli Elkann all’intervista rilasciata al Fatto di ieri dal marchese Lodovico Antinori, che era il proprietario della casa di Gstaad in cui abitava Donna Marella.

Secondo Antinori, l’anziana dovette trasferirsi in un’altra casa, a Lauenen, per decisione dei figli, «per me l’hanno forzata a andarci», «fu una cosa voluta dai ragazzi per accomodarsi». Ma l’affermazione clou è che Lauenen a Marella non piaceva. «Ci stava al massimo due mesi all’anno». Altro che residenza fissa in Svizzera.

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