L’economia italiana nel 2023 è cresciuta più delle previsioni contenute nella Nadef dello scorso settembre. Secondo l’Istat che ieri ha pubblicato la nota sui conti pubblici, il prodotto interno lordo reale è aumentato dello 0,9% rispetto al 2022 (+0,8% la stima della Nota di aggiornamento del Def), mentre quello nominale - comprensivo dell’inflazione - è salito del 6,2%, a fronte del +5,3% atteso, e si è riportato sopra i 2mila miliardi di euro a quota 2.085. Questo dato è molto incoraggiante perché determinerà un effetto di trascinamento positivo sul 2024 (atteso un +1,2% di crescita) sia perché ha prodotto un miglioramento del debito/Pil al 137,3% (140,2% la stima) dal 140,5% del 2022.
Le buone notizie, tuttavia, terminano qui. Se, in altri casi, non sarebbe stato fuori luogo un moderato ottimismo il deficit è peggiore delle stime, attualmente non può essere così perché il deficit/Pil è stato molto peggiore di quanto preventivato attestandosi al 7,2% a fronte del 5,3% della Nadef (già aumentato dal 4,5% del Def per recuperare spazio di manovra per taglio del cuneo e riforma Irpef per i redditi bassi), anche se in calo rispetto all’8,3 % del 2022. A pesare è la sconsiderata eredità del Superbonus 110%, varato dal governo M5s-Pd di Giuseppe Conte. Non a caso nella nota di commento a caldo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha usato toni forti. «L’emorragia dell’irresponsabile stagione del Superbonus ha avuto un effetto pesante sul 2023, andando purtroppo oltre le già pessimistiche prospettive», ha spiegato, assicurando di aver voltato pagina optando per «un sentiero di ragionevole sostenibilità».
Al Tesoro, infatti, la nota dell’Istat ha destato sorpresa e anche malcontento in quanto la strada per rimettere i conti in carreggiata nel 2024 si profila come una scalata del Pordoi. A questo punto, infatti, i 146,8 miliardi di euro di crediti Superbonus stimati dal direttore dell’Agenzia delle Entrate lo scorso agosto (Giorgia Meloni di recente ha parlato di un costo di ben 160 miliardi) sembrano essere molto più verosimili dei 107 miliardi certificati dall’Enea a tutto gennaio. L’aumento di circa 38 miliardi di euro del deficit rispetto alle aspettative sono tutti imputabili alla contabilizzazione di maggiori oneri legati al credito d’imposta per l’edilizia.
La procedura d’infrazione ormai in agguato (anche se c’è la speranza concreta di rinviare le maxicorrezioni all’anno prossimo) impone un percorso di rientro che limiterà le possibilità di spesa fatti salvi i capitoli del Pnrr. Se si vorrà continuare sulla strada della riforma fiscale, bisognerà assicurare coperture solide, quand’anche come pressoché certo - si optasse per il percorso settennale di rientro del deficit/Pil verso il 3% con successiva riduzione all’1,5 per cento.
Prima di aprire la nuova trattativa con Bruxelles, sarà bene comunque attendere Eurostat in quanto entro aprile potrebbe autorizzare l’Istat a spalmare i crediti per competenza (cioè anno per anno, sgravando 2021, 2022 e 2023) anziché per cassa (considerandoli subito pagabili).
È presto, dunque, per parlare di manovre correttive ma raggiungere il target del 3,6% di deficit/Pil quest’anno non sarà per nulla facile. Dinanzi a questo scenario ci sono una certezza e una speranza.
La certezza è che M5s, recentemente scelto come partito guida della Sardegna, ha messo i conti pubblici in ginocchio. La speranza è che la Bce tagli i tassi alleggerendo il costo del debito e fornendo un po’ di respiro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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