!["Raid di Israele contro gli impianti nucleari": cosa c'è dietro le rivelazioni degli 007](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/13/1739466880-ilgiornale-20250213181418180.jpg?_=1739466880)
Per l’intelligence Usa il conto alla rovescia per un attacco preventivo israeliano contro gli impianti nucleari iraniani è già cominciato. Gli 007 ritengono che il blitz di Tel Aviv avverrà “probabilmente entro la metà dell’anno” e stimano che esso possa far regredire il programma atomico dell'Iran “di settimane o forse mesi”. Una conclusione messa nera su bianco in numerosi rapporti segreti redatti tra la fine del mandato di Joe Biden e l’inizio della presidenza di Donald Trump. In un curioso tempismo le valutazioni delle spie di Washington sono trapelate a poche ore di distanza prima sul Wall Street Journal e poi sul Washington Post, sollevando il dubbio che l'amministrazione del tycoon possa voler lanciare un ultimo avvertimento indiretto a Teheran sulle intenzioni di Israele al fine di favorire una soluzione diplomatica alla crisi in corso.
In un documento prodotto a inizio gennaio, sulla base dell’analisi degli attacchi mirati condotti ad ottobre scorso dallo Stato ebraico sul territorio della Repubblica Islamica, si avverte che Israele tenterà di colpire le strutture nucleari di Fordow e di Natanz. Due le opzioni al vaglio di Tel Aviv: il lancio "a distanza" di missili balistici oppure una rischiosa incursione dei suoi jet nello spazio aereo iraniano. In entrambi i casi gli Stati Uniti offrirebbero un prezioso supporto che, stando a quanto indicato dalle fonti consultate dal Washington Post, consisterebbe nell’invio allo storico alleato di informazioni classificate, nello svolgimento di attività di sorveglianza e di ricognizione e nel rifornimento degli aerei di Tel Aviv. Da questi dettagli, sottolinea il quotidiano Usa, emerge dunque che la “dipendenza” di Israele da Washington comporti per quest’ultimo la possibilità di influenzare le future decisioni del governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu.
Oltre a determinare un modesto rallentamento del programma nucleare di Teheran, funzionari americani ritengono che l’attacco preventivo dello Stato ebraico incoraggerebbe la Repubblica Islamica a perseguire l’arricchimento dell’uranio a fini militari e farebbe aumentare le tensioni in tutto il Medio Oriente avvicinando la prospettiva di un conflitto regionale. Di diverso avviso gli israeliani che sono invece convinti di essere in grado di “ostacolare in modo più sostanziale le capacità” del nemico.
Pochi giorni fa Trump, che ha promesso una politica di "massima pressione" nei confronti della Repubblica Islamica, ha dichiarato in un’intervista a Fox News che il regime degli ayatollah può essere fermato “con le bombe o con un pezzo di carta“ aggiungendo che gli piacerebbe “fare un accordo con loro senza bombardarli”. In merito al dossier nucleare il consigliere alla Sicurezza nazionale Michael Waltz a fine gennaio ha detto che “è il momento di prendere decisioni chiave e lo faremo nel corso del prossimo mese”.
Commentando le indiscrezioni giornalistiche il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha avvertito che se ci fosse un attacco e venissero colpiti 100 impianti nucleari "i nostri esperti ne costruiranno altri 1000”.
Per il leader del Paese mediorientale “i nemici vogliono umiliarci davanti a loro con sanzioni e minacce ma noi non ci faremo sottomettere e risolveremo i nostri problemi facendo affidamento sul popolo”. La portavoce del regime ha affermato che l'Iran ha "un piano attivo" per affrontare la "massima pressione" promessa dal presidente americano precisando che essa "non porterà a nulla".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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