"Possibile un conflitto con la Turchia". L'allarme che scuote Israele

Presentato al premier israeliano un rapporto che avverte sulla possibilità di una guerra aperta con Ankara e raccomanda un aumento delle spese militari

"Possibile un conflitto con la Turchia". L'allarme che scuote Israele
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Israele e Turchia in rotta di collisione all’indomani della presa del potere in Siria degli islamisti filoturchi. Ad evocare lo spettro di una guerra tra lo Stato ebraico e il Paese della Mezzaluna è il Comitato Nagel, istituito dal governo israeliano, il quale ha stilato un rapporto in cui si afferma che le ambizioni neo-ottomane del presidente turco Recep Tayyip Erdogan potrebbero portare ad un aumento della tensione con Tel Aviv e alla prospettiva di un “conflitto aperto” tra le due nazioni.

Il Comitato ha presentato il suo rapporto nella giornata di ieri al premier Benjamin Netanyahu, al ministro della Difesa Israel Katz e al ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Il Jerusalem Post rende noto che nel documento si invita lo Stato ebraico a prepararsi allo scontro armato con la Turchia e alla possibilità che i turchi possano unirsi ai miliziani di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) per sferrare un attacco contro Israele.

Nel rapporto si legge che “la minaccia proveniente dalla Siria potrebbe evolversi in una minaccia più pericolosa di quella dell'Iran" e si raccomanda di alzare il budget destinato alla Difesa a 15 miliardi di shekel, l’equivalente di 4 miliardi di euro, all’anno per il prossimo quinquennio. Tali stanziamenti dovrebbero permettere all’Idf di rispondere alla sfida rappresentata dalla Turchia e da altri attori regionali. Nello specifico il Comitato Nagel reputa necessario investire nell’acquisto di F-15, aerei da rifornimento, droni e satelliti, nel potenziamento dei sistemi aerei difensivi, tra i quali l’Iron Dome, e nel rafforzamento delle barriere di sicurezza lungo la Valle del Giordano.

Il premier Netanyahu ha commentato la presentazione del documento dichiarando che “l’Iran è stata a lungo la nostra più grande minaccia” in Medio Oriente “ma nuove forze hanno fatto il loro ingresso nell’arena e dobbiamo prepararci all’imprevisto”. L’allarme suscitato dalla Turchia non è del tutto inaspettato. È almeno dalla strage di Hamas del 7 ottobre 2023 che le relazioni tra Tel Aviv e Ankara sono ai minimi storici e anche Erdogan, che ha definito Bibi “il macellaio di Gaza”, ha detto di essere pronto ad affrontare Israele e si batte per la creazione di uno Stato palestinese. A nulla è dunque valso sin qui il tentativo del presidente israeliano Isaac Herzog di rassicurare il suo omologo turco sull’inesistenza di intenzioni aggressive da parte dello Stato ebraico.

D’altra parte i timori del governo di Netanyahu sono alimentati dalla retorica spesso adoperata da Erdogan, il quale di recente ha detto che “ogni evento nella regione, specialmente in Siria, ci ricorda che la Turchia è più grande della Turchia stessa” e Ankara “non può sfuggire al suo destino”. Queste parole sembrano in effetti tradire la volontà di ritagliare per la leadership turca un ruolo chiave nell’area mediorientale. Un programma che però è destinato a scontrarsi con gli interessi israeliani che dopo la fuga di Assad hanno esteso la loro presenza in territorio siriano.

Il Wall Street Journal ha definito Israele e Turchia i veri “beneficiari strategici” della caduta di Damasco e del ridimensionamento iraniano nella regione. Per Gönül Tol, esperto del Middle East Institute, Ankara “vuole che la nuova Siria sia un successo in modo che la Turchia possa prenderne possesso e teme che gli israeliani possano rovinare tutto”. Tel Aviv è invece allarmata dalla possibilità che si venga a creare un asse di islamisti sunniti guidato proprio dalla Turchia che nel tempo potrebbe diventare un grave pericolo alla sua sicurezza. Non è passato inoltre inosservato il sostegno pubblico manifestato da Erdogan nei confronti di Hamas.

Le ambizioni del leader della Turchia si estendono dalla Libia alla Somalia ma non si scontrano solo con i programmi israeliani. Esse infatti devono fare i conti con una certa diffidenza tra vari attori mediorientali e con i contrasti con gli americani sui curdi da loro supportati. Erdogan accusa tali combattenti presenti in Siria di avere legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), ritenuto da Ankara un'organizzazione terroristica.

Qualche settimana fa il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar ha dichiarato che anche Israele dovrebbe considerare i curdi suoi "alleati naturali" e dovrebbe rafforzare i legami con loro. Un ulteriore motivo di scontro per due Paesi che sembrano essere avviati sempre più verso uno scontro totale.

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