Amministrative in Turchia: Erdogan e l'Akp dall'altare alla polvere

Le amministrative di domenica scorsa sembrano segnare il punto di non ritorno per l'Akp e la storia politica di Recep Erdogan

Amministrative in Turchia: Erdogan e l'Akp dall'altare alla polvere

Aveva promesso, tronfio, una "nuova era" per la Turchia alla vigilia di questa tornata di amministrative: Recep Erdogan, rieletto meno di un anno fa con oltre il 50% delle preferenze è ora costretto a subire la stangata del voto locale. Un bagno di umiltà che lo costringe pubblicamente ad ammettere che non era questo il risultato che ci si aspettava, sparigliando le carte per il 2028.

Breve storia dell'Akp

Una dura ammissione, quella della sconfitta del primo partio di Turchia, il suo Akp, creato e forgiato a sua immagine e somiglianza. : Conservatore, di ispirazione islamica, nacque nell'agosto del 2001. Solo un anno dopo divenne primo partito del Paese raccogliendo il 34.3% delle preferenze. Erdogan, ex primo cittadino di Istanbul, si atteggiava a martire dell'Islam: reduce da un anno di carcere per aver recitato una poesia a sfondo religioso durante un comizio, su di lui pendeva ancora l'interdizione a ricoprire cariche pubbliche. La riforma della Costituzione dello stesso anno fece cadere il veto sulla sua persona: così l'attuale presidente turco potè entrare in parlamento nel 2003. Con oltre il 30% l'Akp ottenne la maggioranza dei seggi in Parlamento, eleggendo nel marzo dello stesso anno Erdogan premier. In un lasso di tempo brevissimo, il bambino venditore di ciambelle diventò il volto della Turchia contemporanea, smantellandone i capisaldi e le strutture che ne avevano fatto un Paese laico, crocevia tra Oriente e Occidente.

Il voto di ieri tra sconfitta dell'Akp e svolta del Chp

La schizofrenia in politica estera tra amore e odio per l'Europa, pecora nera nella Nato, sultano dal pugno di ferro: alle presidenziali del 2023, Erdogan, dopo 22 anni dalla nascita dell'Akp, è ancora sulla cresta dell'onda. Fino a ieri. Quando, visibilmente provato dal risultato inatteso, ha fatto capire che non si ripresenterà nel 2028 (del resto, non può): questa volta sarebbe il suo Akp a doversi cercare un candidato, mentre Kerem Imamoglu, neosindaco di Istanbul, sarebbe il leader naturale dell'opposizione, per giunta super favorito. Che il sultano non si aspettasse la batosta delle ultime ore è stato chiaro anche dall'arrendevolezza con cui ha accettato i numeri del Chp trionfante sull'Akp: nessuna denuncia di brogli, nessuna mobilitazione dei suoi fedelissimi ai seggi.

Se si osserva la distribuzione geografica del voto turco, un dato salta immediatamente agli occhi: all'Akp resta fedele parte della costa sul Mar Nero e l'Anatolia centrale. Dal'altra parte, le conferme del Chp, che ha sempre vinto nella roccaforte di Izmir, terza "capitale" del Paese, così come in altre grandi città come Adana e Mersin. Perfino nell'Anatolia centrale, dove Erdogan ha vinto, il Chp ha strappato alcune province all'Akp e il partito nazionalista di opposizione Iyi si è imposto a Nevsehir. Qui, inoltre, gli ultranazionalisti della Grande Unione, Buyuk Birlik, che non arrivano nemmo al 2%, si sono presi Sivas, mentre il partito religioso Refah ha privato l'Akp della provincia di Yozgat. L'Akp ha perso anche Adiyaman, Kilisi e Urfa. Nel sud est a maggioranza curda vince quasi dappertutto il partito Dem, sigla che ha sostituito il partito Hdp. Il Chp si è preso quattro province e a Tunceli, cinque anni fa strappata dal partito comunista, hanno vinto i Dem.

Quali cambiamenti dietro la bocciatura dell'Akp?

A cosa si deve questo risultato? La crisi economica ha senza dubbio fatto sentire la sua voce, così come hanno avuto un ruolo importante gli 1,32 milioni di giovani che per la prima volta sono andati al voto. Con il 34% delle preferenze Akp ha perso la presa sul Paese, una sconfitta che restituisce una buona notizia: nulla è per sempre e la democrazia turca, sebbene dolorante, ancora funziona grazie anche al 78,3% di affluenza alle urne. Le elezioni di ieri non devono sorprendere: tutti i partiti e tutti i leader vivono un ciclo fatto di ascesa e declino. La giornata di ieri ha rappresentato solo l'ultimo atto del ciclo dell'Akp, la cui discesa ha avuto inizio molti anni fa e che ormai vive con malanimo l'estrema personalizzazione avviata dal sultano.

Si tratta di una svolta epocale che vuole anche le province più remote intenzionare a inviare un messaggio chiaro al governo, anche nelle roccaforti conservatrici. Dopo la sconfortante sconfitta dello scorso anno, in molti si aspettavano che l'opposizione avrebbe ottenuto scarsi risultati nelle elezioni amministrative: tuttavia, il cambio di leadership nel Chp dal settantacinquenne Kilicderoglu al quarantanovenne Imamoglu sembra aver rivitalizzato il partito e spianato la strada ai sindaci in carica e ad altri candidati per ottenere le vittorie decisive. Accanto all'usura politica di cui sembra essere affetto l'Akp, è emerso come le vittorie di Istanbul e Ankara siano simbolo di come la leadership sia divenuta più importante dei partiti e delle ideologie, soprattutto in un Paese in cui le istituzioni sono abbastanza deboli e gli elettori si collegano ai leader piuttosto che ai partiti.

Secondo i commentatori, sebbene la crisi economica abbia lasciato la popolarità di Erdogan sostanzialmente inalterata nei sondaggi nazionali dello scorso anno, domenica gli elettori del suo partito si sono sentiti più liberi e inclini a esprimere il proprio malcontento quando il suo nome non era sulla scheda elettorale.

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