"Basta con le guerre inutili". Così i veterani arrabbiati di Trump cambiano la politica estera Usa

In alcune posizioni chiave il tycoon ha scelto personalità fortemente scettiche sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo

"Basta con le guerre inutili". Così i veterani arrabbiati di Trump cambiano la politica estera Usa
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Che Donald Trump sia stato rieletto sulla base della promessa di una politica estera meno interventista è un concetto spesso evidenziato dai commentatori. Le nomine ad alcuni dei principali dicasteri compiute da The Donald durante le prime settimane della transizione lasciano però intravedere la volontà di imprimere una svolta nella gestione delle relazioni internazionali americane ancora più netta non solo rispetto a quella adottata in passato dai repubblicani ma anche a quella seguita dallo stesso tycoon nel corso del suo primo mandato.

Infatti, tramontata l’era dell’interventismo propugnato da George W. Bush che, spinto dalle teorie dei neocon, ha inaugurato la stagione delle “guerre infinite” in Afghanistan e in Iraq, sembra adesso farsi largo una nuova corrente, decisamente più scettica sul ruolo dell’America nel mondo, capitanata da esponenti che hanno prestato servizio nell’esercito Usa proprio in quei Paesi. Tra questi spiccano personalità come quella del vicepresidente J.D.Vance, del segretario alla Difesa Pete Hegseth e della direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard.

Pur precisando che le nomine di Hegseth e di Gabbard potrebbero non essere confermate dal Senato per via di scandali legati a molestie sessuali e abuso di alcolici nel caso del primo e a sospette collusioni con i russi nel caso della seconda, le scelte di Trump segnano l’ascesa del ruolo dei "veterani arrabbiati” nei dicasteri che contribuiranno a plasmare la politica estera statunitense nei prossimi quattro anni. Se non di più, considerato un possibile passaggio di testimone ad una presidenza Vance nel 2028.

L’esperienza irachena e la disillusione seguita all’arruolamento di tanti giovani americani dopo le stragi dell’11 settembre accomunano i tre esponenti politici. Il prossimo vicepresidente è stato in Iraq con la funzione di giornalista militare, Gabbard è stata assegnata ad un’unità medica in una base a nord di Baghdad mentre Hegseth, oltre che a Samarra, una delle località dove era più forte la presenza di insorti, ha servito anche in Afghanistan e a Guantanamo.

In passato Vance ha detto che è stato “fortunato a non aver combattuto” ma ha precisato durante la campagna elettorale che è pur sempre stato “in una zona di combattimento”. Nel 2020 ha dichiarato di essere partito per l’Iraq nel 2005 come un “giovane idealista impegnato a diffondere la democrazia e il liberalismo in nazioni arretrate del mondo” ma di essere rientrato a casa l’anno dopo “scettico sulla guerra e sull’ideologia che la sosteneva”.

In un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal Hegseth ha affermato che “combattere e vincere le nostre guerre per me non ha mai avuto che fare con la politica” e ha ricordato la piaga dell’alcolismo, della depressione e del suicidio che ha colpito molti veterani. “Comprendo quello che stanno affrontando perché l’ho vissuto anch’io”, ha scritto Hegseth che in Iraq ha servito nella Charlie Company, un reggimento definito Kill Company per via dei metodi spietati imposti nei confronti del nemico dal suo comandante.

Gabbard, che prima di aderire al Gop si è candidata alle presidenziali del 2020 come rappresentante dell’ala pacifista del partito democratico, ha condannato il coinvolgimento americano in “guerre all'estero inutili” e criticato gli strumenti di sorveglianza adoperati da Washington. Una posizione che l’ha portata a difendere l’operato di Edward Snowden e di Julian Assange e ad esprimere punti di vista vicini a quelli della propaganda russa sulla guerra in Ucraina.

Molte delle opinioni di Vance, Hegseth e Gabbard sarebbero condivise dai veterani Usa. “Pete, Tulsi, JD sanno cos’è la guerra”, dichiara Evan Hafer, ex militare e autore di un podcast popolare tra gli addetti ai lavori. La stessa cosa però non si può dire del presidente eletto Trump.

Il miliardario infatti evitò l’arruolamento grazie ad una diagnosi di “speroni ossei nei talloni” e a proposito della guerra in Vietnam pare disse all'epoca al suo ex avvocato Michael Cohen: “pensi sia stupido? Non ci andrò mica”.

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