Battaglia dei carri armati? Il generale rivela cosa succederà in Ucraina

Intervista al generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze, della Brigata paracadutisti Folgore e oggi presidente dell'Associazione nazionale paracadutisti d'Italia

Battaglia dei carri armati? Il generale rivela cosa succederà in Ucraina

Generale, è ormai passato quasi un anno dall’inizio del conflitto. È tempo di bilanci…

Da un punto di vista politico, possiamo dire che sono state smentite molte delle facilonerie occidentali che parlavano di un rapido decadimento delle capacità militari di Mosca, di una crisi economica in Russia innescata dalle nostre sanzioni, di una crisi politica che avrebbe detronizzato Putin quand’anche fosse sopravvissuto a quella marea di malattie diagnosticate a distanza dai nostri specialisti. A un anno dall’inizio della guerra, la Russia sta continuando questa operazione, utilizzando ingenti quantità di armi e munizioni, attingendo a sempre più personale anche a seguito della mobilitazione voluta da Putin e la situazione non pare cambiare.

Questo per quanto riguarda la Russia. Sul lato ucraino, invece?

Negli ultimi giorni abbiamo registrato le dimissioni di Oleksij Arestovyč - consulente di Zelensky e uno dei suoi possibili successori - che si era lasciato scappare che il missile che aveva colpito un condominio a Kiev non era stato lanciato deliberatamente dai russi ma era stato intercettato dalla contraerea ucraina. Il giorno dopo, il ministro e il vice ministro ucraino dell’Interno sono morti in uno stranissimo incidente elicotteristico. Si trattava di due persone rampanti, determinate alla continuazione della guerra. Infine, abbiamo visto una sfilza di dimissioni più o meno spontanee di vari rappresentanti dell’establishment ucraino. È evidente che c’è una crisi politica in Ucraina.

E dal punto di vista militare?

Ci troviamo in un momento - dopo una prima fase politica, perché l’obiettivo era politico, ovvero un colpo di Stato in Ucraina che ne cambiasse la leadership con una dimostrazione di forza che innescasse un cambiamento interno al paese - davvero singolare.

Si spieghi meglio, per favore…

La dimostrazione di forza c’è stata ma non è stata sufficiente per ottenere il risultato voluto, anche perché l’intelligence ucraina (ma si dice anche quella britannica) aveva già messo sul chi va là Zelensky ed era riuscita a far fuori i possibili membri del complotto. Dopo questa prima fase, la Russia ha rischierato le forze - che non servivano più a nord, a Kiev - dove c’era una pressione militare non finalizzata a conquistare la città, viste le forze impiegate, nel settore orientale, conseguendo importanti obiettivi territoriali nell’oblast di Kharkiv, Lugansk e Kherson.

Siamo così entrati in una nuova fase del conflitto…

Sì, quella della controffensiva ucraina che ha consentito di riprendere il controllo dell’oblast di Kharkiv, innescando un cambio al vertice delle Forze armate russe con l’attribuzione del comando a un unico comandante, rispetto a quello che c’era in precedenza, Surovikin, e si è passati da un comando non perfettamente coordinato a un comando unico. Surovikin ha preso una decisione importante, quella di ritirarsi dalla sponda destra del Dnepr, quindi abbandonando buona parte dell’oblast di Kherson, e a partire da quel momento la Russia è passata a rinforzare le posizioni che aveva conquistato. Ora ci troviamo in una fase in cui la Russia ha ripreso l’iniziativa tattica: tiene a Kherson, a nord nell’oblast di Luhansk, e anche a Donetsk dove sta procedendo verso ovest. Già quest’estate la Russia ha superato una prima fase difensiva che da Lysychansk arrivava a Popasna e adesso sta superando una seconda e importantissima linea che da Seversk arriva a Bakhmut. Sono linee realizzate già nel 2014, quando è iniziata la guerra contro le due repubbliche di Donetsk e Lugansk. Continua la pressione anche nel prolungamento di questa linea verso sud, nella zona della città di Donetsk, dove sono state occupate zone importanti come Pisky, in periferia, usata in passato dagli ucraini per i bombardamenti. I russi stanno procedendo e questo fatto allarma molto l’Ucraina. Il capo di Stato maggiore ucraino aveva ammesso che la mobilitazione russa stava funzionando e che le mobilitazioni russe stavano raggiungendo gli obiettivi proposti. Ed è per questo che gli ucraini hanno chiesto carri e artiglieria.

Anche l’Italia parteciperà alla “battaglia dei carri”?

L’Italia non è in condizione di dare carri armati perché la nostra componente corazzata si è ridotta notevolmente negli ultimi tre decenni. Gli Ariete non sono in grado di operare in situazioni del genere. La nostra componente corazzata e quella di artiglieria è stata penalizzata in maniera paurosa negli ultimi decenni in cui si parlava solo di operazioni di pace o a bassa intensità, per le quali ci si illudeva che non fosse più necessaria l’artiglieria che oggi ha poche munizioni, pochi mezzi e poco addestramento. Stesso discorso per i carri. Abbiamo un potenziale umano molto risicato, sull’ordine di centomila uomini.

Eppure gli ucraini continuano a chiedere i carri a tutti i loro alleati…

Zelensky ha sempre ribadito la necessità di avere quantità importanti di carri. Tutti i carri dell’ex Patto di Varsavia sono stati dati, ora però si chiede di dare anche quelli occidentali. Il Regno Unito ha dato subito la disponibilità per i Challenger mentre la Polonia, che è la più entusiasta di questa guerra, voleva dare i suoi Leopard ma ha trovato l'opposizione della Germania. Inizialmente, Berlino si è opposta perché era spaventata da un’escalation ulteriore provocata dai carri.

C’è davvero questo rischio?

La prospettiva di una guerra che finisca a breve si allontana nel momento in cui vengono immesse ingenti quantità di carri armati, che non possono però essere immessi in maniera automatica. Ci sono dei tempi per l’afflusso e c’è anche un problema di munizionamento in quanto i carri che si vogliono mandare sono completamente diversi l’uno dall’altro. Questo però sta a significare che la Nato si sta impegnando direttamente. Ufficialmente, non ancora con i suoi uomini, però sicuramente con le proprie forze. C’è poi una cosa paradossale: la Nato dice che non ci dobbiamo preoccupare di rispettare le prescrizioni dell'Alleanza sugli armamenti se si tratta di darli all’Ucraina perché Kiev ha la priorità su tutto. Ecco: se è l’Alleanza a dire quali sono le priorità nazionali in termini di Difesa, questo sta a significare che ogni residuo di sovranità è ormai perso.

Si arriverà mai a uno scontro diretto tra Nato e Russia?

Lo scontro tra Nato e Russia è già in corso. Purtroppo, le guerre non seguono più l’etichetta di una volta secondo cui viene fatta una dichiarazione formale. Noi non stiamo impiegando il nostro personale e speriamo che ciò non succeda mai. Ma il lessico che usiamo è un lessico di guerra. Se noi, anziché auspicare una ricomposizione tra i contendenti, vogliamo che uno vinca e che l’altro perda e consideriamo una sconfitta per noi stessi la vittoria di uno dei due, è chiaro che noi partecipiamo al conflitto, non solo con le nostre armi e con le sanzioni che sacrificano la nostra economia. Si tratta di un crescendo: si è iniziato con le sanzioni, il sequestro dei beni dei russi, poi le armi di difesa e quelle di maggior impatto. Ora parliamo di carri e di Samp-t, una risorsa limitata per noi, un gioiellino che l’Italia dovrebbe tenere per sé. Se tra cinque o sei mesi ci chiederanno i nostri specialisti, sapremo dire di no?

Ma è possibile trovare una via per risolvere il conflitto?

Bisogna insistere su una ricomposizione del conflitto, a tutti i costi.

Ma se si pensa di arrivare a una fine negoziata che preveda la resa dei russi, ci si sta illudendo. I russi non possono rinunciare al Donbass e soprattutto alla Crimea. Una richiesta del genere equivale ad un appello per una guerra infinita.

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