"Fbi si oppose a indagare su Trump": la rivelazione sull'assalto a Capitol Hill

L'Fbi si è opposta per più di un anno sull'aprire un'indagine circa il ruolo di Donald Trump sull'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021: temeva di apparire faziosa

"Fbi si oppose a indagare su Trump": la rivelazione sull'assalto a Capitol Hill
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Temendo di apaprire faziosa agli occhi dell'opinione pubblica, l'Fbi, secondo il Washington Post, avrebbe opposto resistenza per più di un anno sull'aprire un'indagine sul ruolo di Donald Trump sull'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 da parte dei suoi sostenitori. Il quotidiano sostiene che sarebbe passato più di un anno prima che i procuratori e gli agenti dell'Fbi intraprendessero un'indagine formale sulle azioni dirette dalla Casa Bianca sull'assalto al Campidoglio. Ma anche in quell'occasione, l'Fbi non ha identificato l'ex presidente come oggetto dell'indagine. Secondo il Washington Post, a frenare i federali è stato il timore di apparire di parte, unita alla (inevitabile) cautela istituzionale e alle idee contrastanti sulla quantità di prove sufficienti da raccogliere prima di indagare sull'ex presidente.

La rivelazione del Washington Post

Secondo la ricostruzione del quotidiano, il procuratore generale Merrick Garland e la sua vice, Lisa Monaco, hanno intrapreso un percorso cauto volto a ripristinare la fiducia dell'opinione pubblica nel dipartimento: una strada che alcuni procuratori di grado inferiore non hanno affatto gradito, ritenendo che i funzionari di alto livello stessero evitando di esaminare le prove di potenziali crimini commessi da Trump e dalla sua cerchia ristretta.

L'Fbi era finito nel mirino delle critiche per la fallimentare inchiesta del Russiagate e per il modo improprio in cui ha condotto quell'indagine, come evidenziato recentemente anche dal rapporto finale del procuratore speciale John Durham. Soltanto lo scorso novembre, scrive sempre il Washington Post, dopo l'annuncio di Trump di volersi ricandidare alla presidenza, il procuratore generale Garland ha nominato il consulente speciale Jack Smith per condurre le indagini sul presunto tentativo del magnate di rovesciare le elezioni del 2020. L'8 giugno, nell'ambito di un'indagine separata, anch'essa affidata al consigliere speciale, Smith ha ottenuto un'incriminazione da parte del gran giurì contro il tycoon per aver gestito in modo scorretto documenti classificati dopo aver lasciato l'incarico.

Il 13 giugno scorso, a Miami, l'ex presidente è comparso in tribunale, accompagnato dal figlio Eric: deve affrontare 37 capi d'accusa federali derivanti dall'indagine del consigliere speciale Jack Smith sulla presunta conservazione impropria di documenti riservati nella sua residenza di Mar-a-Lago, a Palm Beach. Le accuse a suo carico includono la conservazione intenzionale di informazioni inerenti la difesa nazionale, la cospirazione per ostacolare la giustizia e false dichiarazioni, secondo una copia dell'atto d'accusa diffusa dalla stampa Usa.

Le parole dell'ex attorney general William Barr

E i guai per l'ex presidente non finiscono qui, perché ora Trump rischia di essere perseguito anche per i fatti del 6 gennaio 2021. A dirlo è l'ex procuratore generale Bill Barr, intervistato domenica a "Face the Nation". Il co-conduttore Robert Costa ha chiesto all'ex attorney general: "Trump è stato incriminato e chiamato in giudizio nel caso dei documenti riservati. Crede che sia un bersaglio, potenzialmente, nel caso del 6 gennaio?". Barr ha risposto: "Sì. E, tra l'altro, l'ho difeso in casi che ritengo ingiusti, come quello di New York e così via.

Penso che il caso del 6 gennaio sarà un caso difficile da risolvere per via dell'interesse del Primo Emendamento. Ma sto iniziando a pensare che lo faranno. Mi aspetto che inizi quest'estate". Nuovi guai in vista per il magnate repubblicano: fermeranno la sua corsa?

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