Come ampiamente previsto, la risposta americana alla nuova escalation della crisi in Medio Oriente aperta dall’uccisione di Hassan Nasrallah si sta traducendo in queste ore nel rafforzamento della presenza Usa nell'area. Il timore è che l’Iran possa rispondere ai raid israeliani contro Hezbollah scatenando una guerra regionale. Per impedire ciò Washington si affida al dispiegamento delle portaerei USS Abraham Lincoln e USS Harry S. Truman nel Mar Mediterraneo e nel Mar Rosso, al presidio da parte di circa 2200 Marines e soldati e all’invio di altri caccia A-15, F-15, F-16 ed F-22.
Non è pero solo dal regime degli ayatollah che gli Stati Uniti si attendono una reazione. A partire dal 7 ottobre 2023, infatti, diverse milizie filoiraniane hanno scatenato attacchi contro le basi Usa in Siria, Giordania e Iraq. L’ultimo assalto dei proxy di Teheran è avvenuto domenica scorsa contro la base di Deir Ezzor in territorio siriano. Nessuna vittima è stata riportata in questo raid a differenza di quanto successo in Giordania nel gennaio scorso quando persero la vita tre militari americani.
La modalità di attacco preferita dai fedayn è quella che prevede il lancio di droni esplosivi contro le installazioni Usa. Per difendersi da tali blitz nella giornata di ieri il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha annunciato l’ampliamento del programma Replicator il quale consisterà nella difesa delle strutture militari degli States in Medio Oriente da parte di velivoli senza pilota con funzione offensiva.
Il programma Replicator nasce originariamente con la finalità di disporre entro il 2025 di migliaia di droni nell'Estremo Oriente in vista di un possibile scontro con Pechino. Sullo sfondo le valutazioni fatte dalla Cia che prevede un’aggressione del gigante asiatico contro Taiwan entro il 2027. Per non parlare della crescente aggressività del Paese del dragone nei confronti dei suoi vicini nel Mar Cinese Meridionale.
Nella nota diffusa da Austin si legge che la prossima fase del Replicator si concentrerà sulla minaccia posta dai velivoli senza pilota alle “nostre installazioni più critiche e alle concentrazioni di forze”. Le nuove disposizioni del capo del Pentagono aprono dunque la strada ad una guerra di droni contro droni in un contesto geografico sempre più incandescente dal quale Washington sperava di potersi sganciare dopo decenni di conflitti.
Il segretario alla Difesa ha confermato inoltre che gli Stati Uniti prevedono di rispettare la scadenza prevista ad agosto dell’anno prossimo per la produzione di sciami di droni da collocare sul fronte asiatico. Con gli stanziamenti che il Congresso dovrebbe approvare a marzo del prossimo anno partirà invece l’espansione del programma Replicator annunciata ieri. I primi velivoli senza pilota a difesa delle installazioni militari Usa dovrebbero essere dispiegati entro i due anni successivi.
Un assaggio della pericolosità degli attacchi portati a segno dai droni lo si è avuto in occasione del blitz con il quale l’Iran ad aprile scorso ha vendicato l’uccisione da parte di Israele di elementi di spicco dei pasdaran in Siria. Se la ritorsione di Teheran contro Tel Aviv, consistita nel lancio di decine di droni e di missili balistici e da crociera, non ha avuto successo è stato grazie al supporto coordinato delle difese aree americane e dei suoi alleati nella regione intervenute per intercettare la minaccia.
La prossima volta, temono a Washington e non solo, l’assalto di sciami di velivoli senza pilota contro basi o portaerei Usa potrebbe però avere un esito differente. L’espansione del programma Replicator rappresenta dunque l’accettazione che la guerra dei droni sia una realtà ormai inevitabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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