E se Donald vincesse il Nobel per la pace?

Donald Trump è stato eletto per la prima volta nel 2016, ed è un fatto che nei suoi primi quattro anni da presidente non abbia avviato alcun conflitto. A differenza di Obama, è cominciato anzi il disimpegno negli scenari in cui gli Stati Uniti erano ancora impegnati

E se Donald vincesse il Nobel per la pace?
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Barack Obama ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2009, appena eletto per la prima volta presidente. Aveva mosso soltanto i suoi primi passi in politica estera, senza poter incidere in alcun modo, doveva ancora definire la sua missione e i suoi orizzonti. Diplomazia multilaterale, enfasi sul ruolo delle Nazioni Unite, dialogo come strumento di soluzione dei conflitti internazionali erano, secondo la giuria, le radici della scelta. Grazie ad Obama, spiegava ancora il comitato, gli Stati Uniti giocavano all'improvviso dopo George W. Bush un ruolo più costruttivo su grandi temi come clima, democrazia e diritti civili. In realtà, Obama ha vinto il suo Nobel in campagna elettorale. Ha incarnato con la sua campagna un messaggio positivo, di speranza, capace di muovere emozioni e coscienze non soltanto negli Stati Uniti, ma nel mondo. Yes We Can e Hope erano messaggi forti, in un'America ancora inquinata dalla guerra in Iraq e dall'11 settembre. Emerso quasi all'improvviso, Obama dichiarava in quel clima di essere disposto a incontrare i «nemici» dell'America. Fu naturalmente anche attaccato per questo, ma vinse. Anzi, stravinse. Incarnava con la sua campagna, il suo carisma e soprattutto la sua stessa figura quella cultura woke che muoveva

allora i suoi primi passi, nello spirito certamente positivo di opporsi a ingiustizie sociali o razziali- Degenerando però nel tempo in ideologia, eempre più intollerante verso tutto ciò che non è considerato minoranza. Oggi nell'inferno di fuoco di Los Angeles agiscono troppi pochi pompieri, perché negli ultimi anni selezionati in California sui principi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI). La cultura woke, nata nella tolleranza si è involuta nell'intolleranza, trovando poi in Donald Trump il suo ideale contrappasso. Il messaggio di Obama, nel tempo, si è invece sfarinato mostrandosi per ciò che era: uno straordinario racconto da campagna elettorale, con tutti i suoi inevitabili limiti quando tradotto in azione di governo. Anche in politica estera.

Donald Trump è stato eletto per la prima volta nel 2016, ed è un fatto che nei suoi primi quattro anni da presidente non abbia avviato alcun conflitto. A differenza di Obama, è cominciato anzi il disimpegno negli scenari in cui gli Stati Uniti erano ancora impegnati. L'elezione di Biden, poi, sembrava rivelare il primo Trump come un incidente della storia. È stato il contrario. Da quando Trump è stato rieletto, in meno di un mese abbiamo vissuto il cessate il fuoco in Libano tra Israele ed Hezbollah, poi tra la stessa Israele e Hamas su Gaza. Ciò che non è riuscito a Biden per anni, si è realizzato

in due mesi di transizione verso Trump. Il suo stile un po' spaccone, imprevedibile e decisamente più aderente all'art of deal da imprenditore che al soporifero politichese, si è mostrato vincente. Trump ha tutto l'interesse a ridurre l'impegno militare americano nel mondo.

L'influenza della politica estera nelle decisioni di Washington, unita al crollo del potere d'acquisto dei salari più poveri e alla spesa galoppante sulla difesa a discapito di servizi sociali, scolastici o sanitari è considerata dalla maggioranza degli americani sempre più insopportabile. Le azioni di Trump si muoveranno in questa direzione, mostrando anche i muscoli se necessario, ma con l'obiettivo dichiarato e molto pragmatico di allentare tensioni e impegno bellico nel mondo. Lo ha già fatto.

Lo sta già facendo. Lo rifarà. Siamo chiari: Trump non vincerà nessun Nobel per la pace. Non sappiamo se lo meriti, certamente le giurie di Oslo non seguono questa corrente di pensiero. I risultati, sì. Forse anche più di Obama.

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