La guerra e le precauzioni dimenticate

Difficile, ma conviene a tutti che l'Europa si faccia avanti come mediatrice, con il governo italiano in prima linea per lanciare quello che da bambini chiamavamo arimortis, cioè, all'inglese, time-out

La guerra e le precauzioni dimenticate

La guerra tra Russia e Ucraina ha annoiato. Ha smesso di farci paura. Sbagliato. Dimentichiamo che, paradossalmente ma non tanto, più Kiev riesce a minacciare Mosca, con droni sofisticati e con l'avanzata di truppe sul terreno, maggiore è la possibilità che Putin apra la valigetta e schiacci il bottone per l'uso di missili atomici cosiddetti tattici (ordigni di uso locale, potenti come i confetti di Hiroshima e Nagasaki), pronto poi in caso di replica occidentale dello stesso tipo, a passare a un grado più alto. E addio mondo.

Siamo indotti alla distrazione dal passare, per noi rassicurante, del tempo. In fondo dal 24 febbraio del 2022, data dell'invasione putiniana, dalle nostre parti non è caduta neppure una cicca di sigaretta. Alla minaccia ricorrente del Cremlino di tirarci un missile nucleare ipersonico, qualunque cosa voglia dire, l'opinione pubblica si è fatta il callo, non desta più né timore né tremore, e l'allarme al riguardo è considerato una fissazione da menagramo, cui rispondere non invocando una trattativa di pace realistica, ma un rapido toccamento di pendagli. Così l'altro ieri ha acceso la spia dell'allerta massima il professor Giulio Sapelli, che non è un cartomante da lunapark ma un tipo che ne sa di storia e guerre quanto Kissinger, il quale, prima di lasciare la scena di questo mondo, si espresse in termini ultimativi, chiedendo di calmare l'appetito del lupo siberiano con misurate concessioni. A proposito del citato predatore russo. Lo sappiamo: il grido ripetuto di al-lupo-al-lupo induce a riderne. Ma l'apologo, se ve lo ricordate bene, finisce male per gli increduli. Intanto, arriva l'autunno, a differenza di due anni fa l'eventualità di restare coi caloriferi freddi non preoccupa più nessuno: compriamo il gas dall'Azerbaijan, e poco importa se il dittatore locale, Ilham Aliyev, tiene il calcagno sul collo degli armeni, l'Europa glissa su questi stupidi particolari, a chi importa di costoro, non sono neanche musulmani. Siamo portati a distrarci, tant'è vero che invece di occuparsi di quel che potrà accadere (pure a casa nostra) per l'accelerazione del conflitto, il telescopio dell'informazione è puntato non alle rampe missilistiche russe, ma (1) alle elezioni americane, perché tanto l'Europa non conta nulla, e bisogna aspettare di capire chi vincerà da quelle parti; e (2) al voto degli eurodeputati sull'invio di armi e sui limiti del loro impiego, peraltro superfluo: decide tutto la Nato che ha la testa, anzi la testata, anglosassone. Mi colpisce la posizione compatta della maggioranza italiana di centrodestra nello schiacciare il bottone del no sull'articolo 8, l'unico dirimente: aiuti sì, ma condizionati, e quindi rifiuto di lasciare a Zelensky la libertà di usare in territorio russo strumenti bellici consegnati per difendersi. La premier Giorgia Meloni è stata chiara: «L'Italia dice no all'uso di armi su obiettivi russi, ma l'Italia appoggia Kiev con tutto quello che serve». Lo ha fatto apertis verbis altro che ipocrisia - davanti all'omologo britannico Keir Starmer, che era ed è su posizioni senza limiti e confini. Non meno chiaro di Giorgia è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Siamo al fianco dell'Ucraina, ma non siamo in guerra con la Russia». Stessa posizione di Matteo Salvini e di Maurizio Lupi. Questa posizione è la più realistica ed è quella che meglio mostra una volontà di pace nel quadro delle alleanze occidentali. È fedele ai patti transatlantici, dà un giudizio ovvio su chi sia l'aggressore e chi l'aggredito, ma tiene conto del buon senso che, in questo caso, si chiama principio di precauzione ed esige ogni sforzo per impedire un altro passo verso la guerra totale. Voglio tornare sulla sbagliata certezza che Putin non oserà passare dalle intenzioni alla loro funeraria attuazione. A mano a mano che cresce la precisione e la capacità distruttiva dei droni ucraini ad altissima tecnologia, Putin comprende che la minaccia esistenziale per lui e il suo regime è reale e prossima. La dottrina del Cremlino prevede di abrogare il tabù dell'uso preventivo delle armi atomiche: altrimenti perché uno ne conserverebbe tremila con missili balistici sempre più micidiali? Se uno li ha, alla fine se sente l'odore della sua, di fine li usa. Qualcuno ha in mente il biblico muoia Sansone con tutti i filistei?

Una esperta, Alessandra Murgia, sul Corriere della Sera, basandosi su analisi scientifiche dei dati forniti dalle fonti più autorevoli, interne ed esterne ai belligeranti, ha stabilito in più di un milione le vittime della guerra. Un milione, migliaia di cadaveri ogni giorno, e dovemmo crogiolarci lasciando la palla delle decisioni sulle trattative al futuro presidente americano? Va bene, aspettiamo il 4 novembre per un definitivo accordo, ma almeno si provi a procedere con un alt, fermi tutti, da subito. Difficile, ma conviene a tutti che l'Europa si faccia avanti come mediatrice, con il governo italiano in prima linea per lanciare quello che da bambini chiamavamo arimortis, cioè, all'inglese, time-out. Perché Vladimir e Volodymir dovrebbero lasciar falciare come spighe i loro giovani per vantaggi effimeri? Eppure, quella cifra di un milione ci lascia freddini. Una ragione la rintraccio in un fatto.

La grandissima parte dei morti e dei feriti sono soldati, e si è affermata nelle teste l'idea fasulla che, se uno indossa l'uniforme, e ha vent'anni, è un po' meno morto, è solo caduto. Balle. Non è il caso che tocchi di cadere pure ai nostri figli e nipoti.

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