A meno di una settimana dal voto che ha riconsegnato la Casa Bianca e, a quanto sembra, anche il controllo della Camera e del Senato ai repubblicani, le cancellerie dei Paesi alleati degli Stati Uniti attendono con trepidazione l’insediamento il 20 gennaio del 2025 della nuova presidenza di Donald Trump. I partner storici degli Usa temono infatti che il secondo mandato del tycoon possa essere caratterizzato da una politica estera isolazionista dalle conseguenze disastrose, tra gli altri, per l’Europa, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan.
Stando però a quanto sostenuto dai collaboratori più stretti di The Donald intervistati dal Wall Street Journal il passaggio dall’America is back di Joe Biden all’America first di Trump non comporterà affatto una diminuzione dell'impegno internazionale della superpotenza. Quello a cui potremmo invece assistere nei prossimi quattro anni, riporta il quotidiano di New York, non sarà il ritiro degli States ma addirittura il loro ritorno sul palcoscenico mondiale all'insegna del ristabilimento della deterrenza e di accordi transazionali con gli alleati.
Troppe sono le aree di crisi, dall’Ucraina al Medio Oriente passando per il Mar Cinese Meridionale, che la Casa Bianca non può permettersi di ignorare e che, nonostante l’approccio più tradizionale in politica estera seguito da Biden, sono state interessate da un deterioramento dei rapporti di forza proprio a scapito dell’influenza americana.
“Ci sarà un ritorno della pace attraverso la forza”, afferma Robert O’Brien, ex consigliere per la Sicurezza nazionale durante la prima presidenza Trump. O’Brien, il quale potrebbe trovare posto nella nuova amministrazione, sostiene che “la deterrenza verrà ristabilita” e che i nemici dell’America comprendono di non poter più “farla franca” come avvenuto con Biden al potere.
Il presidente eletto, che rivendica il successo della sua imprevedibile politica estera tra il 2017 e il 2021, ha più volte detto in campagna elettorale che nessuna guerra è cominciata con lui al comando e ha espresso di voler risolvere una volta per tutte il dossier ucraino. Tale tema sarebbe stato affrontato anche nel corso della prima telefonata tra il tycoon e il presidente russo Vladimir Putin dopo le elezioni del 5 novembre, contatto smentito però nelle ultime ore dal Cremlino.
Il generale in pensione Keith Kellogg, che ha lavorato alla Casa Bianca negli anni del Trump I, spiega che il repubblicano “si metterà in contatto con i principali leader per cercare e trovare una soluzione ai problemi”. Per Kellogg l’adozione di sanzioni e l’uso della forza bruta saranno sempre opzioni sul tavolo del presidente ma non saranno la sua prima scelta.
Ristabilire la deterrenza americana non sarà comunque un’impresa facile. Un collaboratore anonimo del miliardario fa in effetti notare che il deterioramento e l’interconnessione delle crisi internazionali richiederanno una politica estera dall'approccio “omnicomprensivo”. Il riferimento è all’inedito saldarsi in contemporanea di alleanze tra la Russia, la Corea del Nord e l’Iran e alla dipendenza di Mosca e Teheran dalla vendita di greggio alla Cina.
Anche se non è chiaro come Trump desideri sviluppare i rapporti con il Vecchio Continente e con la Nato e riconosciuto il fatto che potrebbe spingere per il ritiro delle truppe americane da Siria e Iraq, secondo le fonti sentite dal Wall Street Journal il 47esimo presidente non intende comunque rimanere ai margini della scena internazionale. “Vuole inserire gli Stati Uniti in ogni conflitto mondiale per mediare e portare soluzioni diplomatiche”, dichiara un altro ex collaboratore di Trump.
Al di là di tale presunta vocazione pacifista, il presidente eletto, insistono i suoi sostenitori, non esiterà a minacciare i nemici degli States per ristabilire la deterrenza. Cina e Iran saranno in cima alla lista delle priorità del tycoon. Rispetto al suo primo mandato, su entrambi i fronti le cose sono cambiate parecchio. Trump non si fida più del leader cinese Xi Jinping e vuole lanciare una nuova guerra commerciale contro il gigante asiatico mentre nei confronti di Teheran punta ad esercitare una politica di “massima pressione”.
Le incognite maggiori rimangono senza dubbio i due fronti di guerra in Israele e in Ucraina e la possibile evoluzione dei rapporti di The Donald con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, da una parte, e con il russo Putin e l'ucraino Volodymyr Zelensky, dall'altra. Se è vero che Trump avrebbe comunicato a Bibi il suo via libera ad usare il pugno di ferro nella lotta contro Teheran, il repubblicano ha tutto l’interesse a vedere una conclusione in tempi rapidi della crisi mediorientale avendo ben in mente un obiettivo: coinvolgere l’Arabia Saudita negli accordi di Abramo, la serie di intese firmate con la mediazione degli Stati Uniti tra Israele e alcuni dei suoi vicini arabi. Trump vorrebbe inoltre chiudere in tutta fretta e ad ogni costo anche il conflitto ucraino. Raggiungere entrambi i traguardi gli permetterebbe di liberarsi dell’etichetta di isolazionista e di ottenere quello di pacificatore del Medio Oriente e dell'Europa dell'Est.
Un risultato su cui in pochi al momento osano scommettere ma che, come insegna la teoria del pazzo nella storia delle relazioni internazionali americane, potrebbe portare a qualche inaspettato e clamoroso risultato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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