L a cosa più sorprendente che accompagna le prime settimane di Donald Trump alla Casa Bianca è lo stupore con cui un certo mainstream e i tanti guardiani del politicamente corretto giudicano le sue prime azioni. «Trump sta facendo quello che ha detto», ci sentiamo ripetere, con toni fra il disperato e il meravigliato. Per decenni, in America come in Europa, siamo stati abituati a classi dirigenti che disegnavano i loro programmi e assumevano impegni precisi salvo disattenderli un minuto dopo conseguita una elezione e una posizione di governo. L'arte era quella del diluire, stemperare, annacquare e quasi sempre rinviare. Non assumere posizioni decise in nome del pensiero debole.
Nel suo discorso di insediamento, quando molti si aspettavano una moderazione dei toni adoperati in campagna elettorale, Donald Trump ha ribadito tutto quanto aveva promesso e in alcuni casi ha rincarato la dose. E poi alle parole sta facendo seguire i fatti con una raffica di ordini esecutivi, che seguono punto per punto il suo programma.
Al vertice dei propri impegni aveva messo l'azione per fermare l'invasione di migranti illegali che ha assunto dimensioni inaccettabili per gli Usa. È bene ricordare che a partire dalla fine del 2020, in coincidenza della vittoria democratica di Biden, sono entrati negli stati Uniti oltre 7,2 milioni di immigrati illegali (fonte CBP- Customs and Border Protection, Factcheck.org ecc.), questa cifra non include un ulteriore 1,6 milioni di immigrati che sono entrati con documenti impropri. Per molti anni Messico e Canada, sui cui territori transitavano liberamente i migranti che avevano come destinazione finale gli Stati Uniti, si sono guardati bene dal controllare le loro frontiere. Il Messico, in particolare, è accusato, e non solo da Trump (ma anche dai suoi precedessori), di non controllare adeguatamente le sue frontiere meridionali. Inoltre, la decisione sui dazi cita testualmente il passaggio alle frontiere di «droghe, tra cui il mortale fentanyl», che anche l'Istituto Superiore di Sanità italiano classifica come un «oppioide sintetico» con proprietà narcotiche. La domanda che dobbiamo farci è molto chiara: è sconsiderato chiedere alle nazioni confinanti di sorvegliare con rigore i propri confini e reprimere il traffico di droghe letali? La scheda informativa della Casa Bianca scrive testualmente: «Il flusso di droghe di contrabbando come il fentanyl verso gli Stati Uniti, attraverso reti di distribuzione illecite, ha creato un'emergenza nazionale, inclusa una crisi di salute pubblica. I funzionari cinesi non sono riusciti a prendere le misure necessarie per arginare il flusso di sostanze chimiche provenienti da noti cartelli criminali e a bloccare il riciclaggio di denaro da parte di organizzazioni criminali transnazionali».
Sarà esagerato quando il comunicato della Casa Bianca scrive che «le organizzazioni messicane del narcotraffico hanno un'alleanza intollerabile con il governo del Messico», e aggiunge che il «governo del Messico ha offerto rifugi sicuri ai cartelli per impegnarsi nella produzione e nel trasporto di narcotici pericolosi», ma è noto e ampiamente dimostrato che una parte della politica messicana, soprattutto a livelli locali, sia collusa o quantomeno intimidita dai cartelli dei narcos.
Trump sta facendo Trump, lascia aperto uno spiraglio perché chiarisce che se la situazione cambierà i dazi potranno essere rivisti.
Quando, nel 1981, un altro presidente, Ronald Reagan giunse alla Casa Bianca si affrettò, con simile rapidità, a fare quanto promesso: riarmare l'America, abbassare le tasse, contrastare lo strapotere dei sindacati e cominciare a trattare con durezza l'Unione Sovietica che proclamò essere «l'impero del male». Anche allora si gridò allo scandalo e al pericolo collettivo. In Italia solo Indro Montanelli, dalle colonne di questo giornale, espresse sostegno e apprezzamento. Da tempo la storia (finanche Obama) ha dato ragione a Reagan e alle sue azioni sconsiderate dell'epoca. Il presidente attore rilanciò l'economia e gli investimenti e pose le premesse, insieme a Papa Giovanni Paolo II, per il crollo del comunismo sovietico e la liberazione dell'Europa dell'Est.
Difficilmente Donald Trump avrà letto il Tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler, fantastico libro che preconizza il declino della civiltà occidentale. Né tantomeno avrà considerato le denunce di Ernst Jünger o Martin Heidegger sui pericoli di una società nichilista e debole. Tre autori tedeschi, come sono le origini familiari di Trump.
Tuttavia, con un fiuto, tipico del pragmatismo degli affari, ha intuito da tempo che una crisi di valori e morale ha minato la società americana, indebolendola nelle sue radici identitarie. E ha compreso che a ciò occorre porre rimedio, combattendo la sottocultura woke e la debolezza dei principi.
La
democrazia è il più alto valore che la società occidentale ha conseguito ma non è detto che questa con possa sposarsi con un richiamo costante all'identità storica dei popoli e alla tutela della propria cultura. La storia ci dirà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.