Provate a contare sino ad ottocentotrentaquattro. Anche velocemente. Ho provato due volte: ci si mettono almeno 7 minuti. È un tempo lungo. Nel 2023 l'Iran ha eseguito almeno 834 condanne a morte, con un aumento del 43% rispetto al 2022. Si tratta del numero più alto di condanne dal 2015, secondo quanto riferito dal rapporto annuale pubblicato dalle Ong «Iran Human Rights» e «Ensemble contre la peine de mort». Se dovessimo dire i nomi di tutti i condannati, i minuti diventerebbero molti di più. E se dovessimo scavare le fosse, avvolgere i corpi nei teli bianchi come prescrive l'Islam, quanto ci metteremmo?
E poi ci sono le ragazze che non sono state nemmeno condannate, sono morte per le botte, le violenze. Come è morta Armita Geravand. La ragazza iraniana di 16 anni finita in coma dopo essere stata picchiata dalla sorveglianza della metropolitana di Teheran perché non indossava il velo. Come è morta Mahsa Amini (nella foto), nel 2022, senza arrivare davanti a nessun tribunale, dopo un arresto per aver indossato l'hijab in modo sbagliato (rileggetelo: per aver messo un pezzo di stoffa in testa nel modo sbagliato). Pare sia partito tutto da lì: si chiama repressione.
Su queste morti c'è un grande silenzio, al massimo un po' di sdegno di maniera. Negli Usa nel 2023 le condanne a morte eseguite sono state 24. Gli abitanti degli Stati Uniti sono quasi 332 milioni, gli abitanti dell'Iran meno di 88 milioni. Sulle condanne a morte inflitte oltreoceano si parla e si scrive tanto. Con sdegno vero. Però sull'Iran si tace, non si manifesta, come contro Israele.
Non si prova nemmeno a vedere quanto tempo ci si mette a contare sino a ottocentotrentaquattro. Provate a contare sino a ottocentotrentaquattro senza respirare. Vi mancherà il fiato molto prima. In Iran si impicca e si soffoca. E per noi conta poco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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