Venti di guerra in Moldavia? I timori nelle cancellerie internazionali e tra gli analisti sono saliti stamani dopo che la Russia ha deciso di abrogare un decreto del 2012 che dettava a Mosca le linee guida di politica estera. Vladimir Putin ha ordinato, dopo il discorso anti-occidentale di ieri, una revisione della politica estera e la fine della validità del decreto n.605 del 7 maggio 2012 "sulle misure per attuare la politica estera della Federazione russa". Tale decreto impegnava il Cremlino a giocare sull'agone globale nel rispetto dei principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite (uguaglianza, rispetto per sovranità e integrità territoriale), evidentemente violati già nel febbraio 2022 con l'invasione dell'Ucraina, e sosteneva esplicitamente la sovranità della Moldavia nel futuro della regione della Transnistria, territorio situato nell'estremo est del Paese e sotto il controllo dei separatisti filo-russi.
Guerra di nervi in Moldavia
Da settimane la Moldavia è tornata in allarme e la presidente europeista Maia Sandu denuncia la possibilità di una sovversione russa nel Paese. Tanto che nelle settimane scorse Sandu ha denunciato l'ipotesi di un'invasione russa o, cosa ancora più probabile, la sovversione nel Paese: "Il piano per il prossimo periodo prevede azioni con il coinvolgimento di diversivi con addestramento militare, camuffati in abiti civili, che intraprenderanno azioni violente, attaccheranno alcuni edifici statali e persino prenderanno ostaggi", ha sostenuto il capo di Stato moldavo parlando in Parlamento dopo le dimissioni dell'ex premier Natalia Gavrilița, dimessasi il 16 febbraio e sostituita da Dorin Recean, ex ministro dell’Interno e uomo vicino ai servizi di sicurezza.
Recean sostiene l'opzione di un'espulsione dei russi stanziati in Transnistria, temendo che la regione separatista possa fungere da testa di ponte per un'aggressione da parte del Cremlino alla piccola Repubblica ex sovietica. E il fatto che la revoca del decreto sia stata giustificata da Mosca con l'obiettivo di "garantire gli interessi nazionali della Russia in relazione ai profondi cambiamenti in atto nelle relazioni internazionalì" aggiunge caos.
La sfida della Transnistria
La Transnistria è una piccola striscia di terra situata a Est del fiume Nistru e confinante con l'Ucraina. La Repubblica di Pridnestrovie, separatista e filorussa, è nata nel 1992 dopo che le forze armate transnistriane sostenute da unità russe e ucraine, ai tempi alleate, avevano cacciato le truppe rumenofone del governo moldavo e dopo che la guerra civile sanguinosa era stata congelata con un accordo a metà. Da un lato, la Russia sosteneva sulla carta l'integrità territoriale della Moldavia, dall'altra si faceva garante della situazione de facto che vedeva la Transnistria esistere, non riconosciuta da nessuno, in pace con il governo centrale di Chisinau con il contributo dei peackeeper russi.
La Joint Control Commission è stata creata da autorità transnistriane, Moldavia e Russia per garantire la pace opera tra alti e bassi con il sostegno dell'Osce. Ma da tempo l'ambigua presenza di truppe russe in Moldavia nel territorio transnistriano lascia dormire sonni poco tranquilli al governo di Chisinau. Per due motivi: da un lato, la prospettiva di un'espansione del conflitto al Paese che ha seguito finora una linea di stretta neutralità. Dall'altro, la prospettiva che sia un incidente tra Transnistria e Ucraina a essere invocato dal Cremlino come motivo per l'intervento.
La sfida tra Mosca e Chisinau
Il decreto prelude a un'invasione come la svolta del 21 febbraio 2022, col riconoscimento dell'indipendenza di Donetsk e Lugansk, è stato preludio all'attacco russo in Ucraina? Non necessariamente. In primo luogo perché il decreto abrogato prevedeva una dichiarazione d'intenti su una risoluzione di un conflitto congelato e non era la base del riconoscimento russo dell'integrità territoriale della Moldavia, tanto che Mosca non ha sino ad ora mai dato legittimità al governo di Tiraspol. In secondo luogo, perché la strategia si inserisce in un braccio di ferro più ampio.
A seconda dell'alternanza dei governi in Moldavia, la presenza russa in Transinistria è stata più o meno tollerata. L'ascesa al potere delle forze liberali e europeiste e la sconfitta dell'ex presidente filorusso Igor Dodon nel 2020 ha riportato Chisinau sulla posizione di ritenere sempre meno legittima la presenza russa in Transnistria. Le truppe nella regione che la Russia potrebbe schierare sono circa 2.400. A lungo Mosca ne ha schierate non più di 1.500. Oggi sarebbero, secondo stime, almeno 6 mila: troppe per le funzioni della Jcc, abbastanza per fare da testa di ponte a un'operazione rivolta contro Chisinau o a un'offensiva in Ucraina, secondo il governo moldavo.
A mandare su tutte le furie i russi le parole di Nicu Popescu, vice premier moldavo e ministro degli Esteri, al suo arrivo alla riunione del Consiglio Ue Affari esteri: "Negli ultimi trent'anni siamo stati molto attenti e cauti sulla situazione nella regione moldava della Transnistria e abbiamo due obiettivi molto chiari: risolvere il conflitto pacificamente e reintegrare nel nostro Paese e il secondo obiettivo parallelo è ottenere il ritiro dei militari russi che si trovano illegalmente nella regione separatista e farlo pacificamente e tramite i negoziati" . Nella giornata del 21 febbraio, inoltre, la presidente moldava ha incontrato Joe Biden a Varsavia, incassando il sostegno degli Stati Uniti alla sovranità della Moldavia.
Il tema dell'illegalità della presenza dei russi è il vero pomo della discordia. Sicuramente la tensione è altissima e la Russia ha tutto l'interesse, dal suo punto di vista, a alzarla gradualmente. Da un lato per "punire" una Moldavia ritenuta traditrice dell'antica amicizia. Dall'altro per alzare la tensione. La rimozione del decreto, con tutte le ambiguità e le ansie che genera, si inserisce in una strategia più ampia definibile di guerra ibrida, che passa anche per un'offensiva psicologica a tutto campo.
La Transnistria come strumento di pressione contro Kiev?
La vera mossa russa potrebbe essere però un'altra. E cioè l'utilizzo della Moldavia e della Transnistria come "teste di ponte" indirette per aumentare la pressione sulla nemica Ucraina. Alzare l'asticella della tensione politica con la Moldavia, invitare Chisinau a spingere su Kiev per guardare le spalle ai confini della Transnistria e agitare la prospettiva che nel conflitto possano rientrare anche le minacciose testate dell'ex Patto di Varsavia conservate in Transnistria nel deposito di Cobasna, il più grande d'Europa, può essere mirato a far pressione sull'esercito di Kiev per tenere inchiodate truppe a Ovest sottraendole al confronto con le forze di Mosca intente a una lenta, logorante guerra d'attrito nella loro proiezione offensiva. Ogni truppa tolta al fronte è per la Russia, ormai spinta alla guerra di logoramento, un vantaggio strategico.
Del resto, la Moldavia ha già patito, anche senza un coinvolgimento diretto, in maniera durissima la guerra in Ucraina. Non solo perché travolta da centinaia di migliaia di profughi, ma anche per la crisi energetica e il boom dell'inflazione al 20% nei mesi invernali. L'invasione russa resta un'ipotesi remota, ma la Moldavia, posta alla fine della Pace, rimane a prescindere fragile.
E il fatto che la stessa questione dell'unità nazionale possa essere messa in dubbio unilateralmente da chi, come la Russia, formalmente sarebbe uno dei suoi garanti mostra tutte le fragilità del piccolo Paese dell'Est.
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