"La strage del 7 ottobre è già stata dimenticata. Dopo la solidarietà è rimasto l'antisemitismo"

Il rabbino capo di Milano: «Parlarne è un dovere, è stato sconvolgente. Gli atenei? Piccole minoranze che impongono le loro idee» Oggi l’evento per ricordare

"La strage del 7 ottobre è già stata dimenticata. Dopo la solidarietà è rimasto l'antisemitismo"
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, a 6 mesi dall’attacco di Hamas la Comunità ebraica oggi ospita un evento dedicato al 7 ottobre con politici e giornalisti. Qual è il significato?
«Ricordare. Parliamo spesso di memoria e siamo davanti a un caso sconcertante di mancanza di memoria. Il 7 ottobre è stato dimenticato. E invece è un dovere ricordare, e ricordare che è stato qualcosa di sconvolgente, inaspettato, scioccante».

Lei ricorda cosa ha pensato quel giorno?

«Perfettamente. Era un giorno di festa, l’ultimo giorno di Sukkot, ed ero al tempio, tranquillo. Arriva una persona dicendo: “C’è stato un attacco, allucinante, sparano alle persone per strada”. La mia reazione è stata di incredulità: “Sarà un’esagerazione da social”. Invece era peggio di come veniva descritto. Mi sono reso conto alla sera».

Ha avvertito solidarietà?

«All’inizio sì, moltissima. Da parte della gente comune, i vicini di casa, le persone per strada: “Sono con voi”. E da parte dei capi di Stato che sono andati in Israele. Ci ha fatto piacere, ci ha fatto sentire che non eravamo soli. Pur nella paura, e nell’angoscia per la sorte degli ostaggi».

La solidarietà è presto venuta meno.

«Sì, ho visto il venir meno di questa solidarietà e il comparire del negazionismo, tipico. È accaduto anche con la Shoah, e c’è l’effetto dei social che moltiplicano tutte le assurdità, ma i negazionisti della Shoah erano figure improbabili, il fenomeno non era diffuso come ora».

Hanno strappato i volantini dei bimbi rapiti.

«Questo fin da subito. Siamo di fronte a un fenomeno di odio, che è emerso subito, c’è un aumento impressionante dell’antisemitismo».

Prima ancora della reazione israeliana.

«Immediata la solidarietà, immediata la reazione antisemita».

Cosa pensa di quel che accade nelle università?

«Minoranze, credo, che però impongono le loro idee. Inaccettabile. Ci sono sempre state, intendiamoci, ma il problema sta nella mancata reazione».

Il punto è che gli odiatori non vengono isolati.

«Antisemitismo e antigiudaismo fanno parte della storia europea. Si pensa sempre che sia superato poi torna. È successo nell’Ottocento, con l’emancipazione degli ebrei, poi nel Novecento, e dopo la Shoah. Purtroppo non è finito, ha radici profonde. Oggi vediamo un nuovo antisemitismo che attecchisce legandosi a radici antiche, per esempio l’idea degli ebrei vendicativi e sanguinari, che è medievale. Il primo caso documentato di accusa di omicidio rituale dei bambini risale al XII secolo».

Devo chiederle della Chiesa cattolica, delle posizioni del Papa, da molti considerate fredde.

«L’assemblea rabbinica ha detto la sua su queste posizioni della Chiesa, che ovviamente è un’istituzione importante e non pretendo la pensi come me. Ha preso posizione parlando di scarsa empatia, non da parte di tutti gli esponenti della Chiesa ovviamente, e di posizioni non equilibrate».

E la politica?

«Ho l’impressione che soffra degli stessi difetti di parte dell’opinione pubblica: una certa superficialità nell’affrontare la questione del Medioriente, la scarsa capacità di capire problemi drammatici, riducendoli a slogan».

Ha mai sentito un clima di ostilità, e isolamento, simile?

«Qualcosa di simile nell’82, quando riesplose l’antisemitismo legato a Israele. Ma oggi è decisamente peggio di allora. Più preoccupante. Sentiamo un pericolo concreto».

Anche Israele è nel momento più difficile.

«È un passaggio molto critico.

Una guerra drammatica, una situazione difficile e non sempre sottolineata: Israele lotta per sopravvivere, con nemici che hanno il dichiarato obiettivo di distruggerlo. Io conto che venga fuori da tutto questo. Con la sicurezza e la pace. Questo è ciò che tutti vogliamo».

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