Xi Jinping e la sfida agli Usa in Medio Oriente mediando tra Hamas e Fatah

Pechino ospita colloqui di unità nazionale tra Hamas e Fatah. Tra complicati equilibrismi, la Cina di Xi Jinping cerca di aumentare la sua influenza in Medio Oriente

Xi Jinping e la sfida agli Usa in Medio Oriente mediando tra Hamas e Fatah
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Per una superpotenza come la Cina non c’è banco di prova più importante di quello mediorientale per sfidare le capacità diplomatiche degli Stati Uniti. Consapevole della posta in gioco, Pechino cerca di sfruttare a proprio vantaggio l’instabilità seguita all’attacco degli islamisti del 7 ottobre per sfoggiare l’influenza guadagnata dal Paese del dragone nell’arena internazionale. Ne dà conto l’agenzia Reuters che riporta in queste ore come Hamas e Fatah avrebbero acconsentito a partecipare proprio in Cina a degli inediti colloqui finalizzati al ristabilimento dell’unità politica nei territori della Palestina.

La rivalità tra le due organizzazioni palestinesi risale al 2007, anno in cui Hamas estromise con la forza Fatah dalla Striscia di Gaza. A quest’ultima fazione appartiene invece Mahmoud Abbas, l’impopolare presidente dell’Autorità palestinese che controlla la Cisgiordania. Conclusasi la breve guerra civile tra i due movimenti, gli Stati Uniti decisero di inserire Hamas nella lista dei gruppi terroristici opponendosi a partire da quel momento a qualsiasi tentativo di riconciliazione tra i palestinesi.

Xi Jinping si avventura dunque nello scacchiere mediorientale in un contesto inasprito dalle conseguenze della strage compiuta dai fedayn e dalla guerra nella Striscia che nelle ultime settimane ha rischiato di degenerare in un conflitto diretto tra Tel Aviv e Teheran. “Supportiamo il rafforzamento dell’Autorità nazionale palestinese e sosteniamo tutte le fazioni nel raggiungimento della riconciliazione e della solidarietà attraverso il dialogo”, fa sapere il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino senza confermare esplicitamente l'incontro tra Hamas e Fatah.

L’iniziativa organizzata dalla Cina non è isolata. Negli scorsi mesi, infatti, il gigante asiatico si è espresso più volte a favore di una conferenza di pace israelo-palestinese e ha dichiarato di appoggiare l’ingresso alle Nazioni Unite della Palestina per porre fine ad un'“ingiustizia storica”. Inoltre, il mese scorso un inviato cinese ha incontrato in Qatar il capo di Hamas Ismail Haniyeh.

In realtà l’offensiva diplomatica di Pechino in Medio Oriente è cominciata nel 2018 quando Xi Jinping ha delineato la sua visione per la stabilità della regione contrapposta a quella garantita negli ultimi decenni dagli Stati Uniti. Un interesse vitale se si considera che il 53% del petrolio importato dal Paese del dragone proviene da quest’area. Gli esperti avvertono però che, nonostante le critiche rivolte agli americani, la Cina non sarebbe intenzionata ad estromettere i rivali dalla regione in quanto non potrebbe permettersi di estendere la propria influenza al di fuori del Pacifico.

In ogni caso, le ambizioni mediorientali Xi Jinping non devono fare i conti solo con l’annosa questione israelo-palestinese ma anche con l’instabilità determinata dalle relazioni tra la potenza sciita iraniana, i suoi vicini sunniti ed Israele. L’anno scorso la Cina, alleata del regime degli ayatollah, ha favorito il riavvicinamento tra Teheran e Riad.

Un successo offuscato dalla tensione tra l’Iran e lo Stato ebraico che pone adesso i cinesi in una posizione alquanto scomoda nei confronti di Tel Aviv. E il maldestro tentativo di mantenere un’equidistanza tra due nemici storici potrebbe far affondare presto nelle sabbie mobili del Medio Oriente il sogno di una Cina davvero globale.

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