Ci sono immagini in grado di spazzare via anni di retorica e di qualificare, fornendo una cristallina chiave interpretativa ai fatti, l'approccio di un Governo e la sua linea politica.
Due istantanee, provenienti entrambe dagli Stati Uniti. Una mostra il Presidente uscente, Joe Biden, abbracciare il Presidente del Consiglio italiano dopo un incontro alla Casa Bianca. La seconda, di poche ore fa, mostra la stessa Giorgia Meloni ricevuta, primo e unico leader europeo, nella residenza del Presidente designato, Donald Trump, a Mar a Lago.
Nulla accomuna le due personalità politiche che stanno per succedersi ai vertici della prima potenza del mondo, anzi, per molti aspetti rappresentano gli opposti della democrazia a stelle e strisce.
Eppure, questi due opposti, hanno entrambi concesso al nostro Primo Ministro un riconoscimento pubblico che non era scontato. L'uno, Biden, mostrando una familiarità e una sintonia che superano il diverso posizionamento ideologico di provenienza. L'altro, Trump, un ruolo da interlocutore privilegiato non scontato nonostante le affinità politiche.
E se è nel confronto con l'altro che spesso qualifichiamo noi stessi, le due immagini restituiscono l'esatto contorno e il significato che Giorgia Meloni ha saputo imprimere alla sua Presidenza e di quale ruolo ha saputo ammantarla. Non l'avversario, sebbene alleato, da tollerare, non il vassallo politico da lusingare, ma un capo di Stato da rispettare. Quale che sia il colore del Presidente che pro tempore rappresenta la prima potenza imperiale di pianeta.
Le venti ore di aereo che misurano la distanza tra Roma e la Florida, andata e ritorno, suggellano una strategia costruita in tre anni, dal giorno dell'insediamento. Un posizionamento politico che ha smentito, incontro dopo incontro, missione dopo missione, tutte le previsioni della vigilia e le profezie di sventura che avrebbero voluto una Italia isolata e reietta, guidata da parvenu negletti o mal tollerati dall'aristocrazia che decide le sorti del pianeta.
Il rigore, unito alla capacità di dialogo e mediazione, con cui il Premier Meloni ha guidato la nostra politica estera non era scontato. E neppure gratuito visto il prezzo che ha dovuto pagare negli equilibri di coalizione, con gli storici alleati europei, con la storia stessa della destra italiana.
L'inflessibile posizione filo ucraina, la determinazione con cui è stato garantito dal nostro paese il sostegno a Kiev e al suo diritto di difendersi da una aggressione ingiusta hanno incrinato quell'alleanza con i paesi dell'est più favorevoli ad un «appeasement» verso Putin.
La volontà di mediazione messa in campo a Bruxelles, dove pure regna ancora un ordine molte volte contestato in tempi passati da Fratelli di Italia hanno fatto storcere il naso a qualche purista anti Europa senza se e senza ma.
Il riconoscimento della necessità di Israele di difendersi dal più violento attacco terroristico di sempre, anche quando la cruenta reazione dello Stato Ebraico ha riempito le piazze dell'indignazione, non è stata posizione facile e scontata.
Il rigore nella gestione della spesa pubblica italiana che ci ha conquistato la fiducia degli Stati «frugali» della Unione non era dovuto per un Esecutivo che di molte promesse di spesa aveva lastricato la sua campagna elettorale verso Palazzo Chigi.
A tutto questo va aggiunta la capacità della Premier di riconquistare, con il «Piano Mattei», un ruolo in Nord Africa che l'Italia aveva perduto che le bombe imposte dalla Francia sulla Libia di Gheddafi.
E anche il rapporto privilegiato con Elon Musk, primo produttore di tecnologia al mondo, da parte di un Capo di Governo europeo, il continente giorno dopo giorno più perde terreno nella sfida dell'innovazione, trovo che sia lungimirante. E ipocrita la congrega di nasi storti che disegna ombre sinistre su una possibile collaborazione da cui l'Italia può solo guadagnare. Perché, se Tesla investisse da noi, mentre chiudono le fabbriche di Stellantis, ci sarebbe da gioire o da indignarsi?
Insomma è dai tempi del Berlusconi di Pratica di Mare che non vediamo una Italia così centrale nel gioco diplomatico. Certo ci sono stati altri Premier considerati, vezzeggiati, anche stimati. Lo sono stati perché alleati utili per interessi altrui, perché figli prediletti di una presunta élite sovranazionale, perché giudicati tecnici di valore. La centralità conquistata da Giorgia Meloni e' diversa.
E' la centralità politica riconosciuta a chi rappresenta uno Stato sovrano, che sa muoversi senza sconti, ma anche senza preconcetti, superando pure i suoi pregiudizi storici. Il breve incontro di Mar a Lago è suggello del lungo e non scontato percorso fatto fino ad oggi, contro le previsioni di troppi sapienti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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