"Guerra e minaccia russa: vi dico cosa devono fare Italia ed Europa"

Il generale Massimiliano Del Casale spiega a il Giornale quali sono i focolai di crisi globali più pericolosi e cosa deve fare il nostro Paese per affrontare tutte le crisi

"Guerra e minaccia russa: vi dico cosa devono fare Italia ed Europa"

Oramai è un dato di fatto: da Wall Street a Milano, le azioni legate alla difesa e all’innovazione tecnologica stanno sovraperformando rispetto al listino. Proprio in questi giorni sono usciti i dati dell’export del settore "armi", e in Europa spicca il valore della Germania che supera i 12 miliardi di euro, di gran lunga maggiore rispetto agli anni passati. D’altronde è presto detto, se si contano le decine di conflitti in essere in tutto il mondo, accompagnati spesso da raccapriccianti termini come "genocidio". Su questi temi contattiamo il generale Massimiliano Del Casale, che nella sua lunga carriera ha coperto importanti e delicate posizioni in ambito Nato, ha diretto l'Accademia militare di Modena, il Centro di simulazione e validazione dell'Esercito di Civitavecchia ed è presidente del Casd (Centro Alti Studi per la Difesa).

Di tutte le guerre e tensioni internazionali, quale situazione la preoccupa maggiormente?

"Tutte le tensioni e situazioni di crisi a livello internazionale, anche le più distanti, ci devono interessare perché condizionano la nostra vita quotidiana, a partire dagli aspetti sociale ed economico. Ma ritengo che voglia fare riferimento a quella crisi che ci riguarda più da vicino, sul piano della sicurezza. Senza dubbio, quella russo-ucraina. Le ragioni sono molteplici. È la più prossima ai nostri confini. Tra Trieste e Leopoli intercorre la stessa distanza esistente tra il capoluogo giuliano e Lecce. In Ucraina, si combatte da due anni un conflitto ad alta intensità, che coinvolge inesorabilmente la popolazione civile e nel quale vengono usati gli interi arsenali di armi convenzionali di cui dispongono gli eserciti che si fronteggiano."

Perché è un conflitto così pericoloso?

"Perché è un conflitto che mette di fronte la Russia e una nazione sostenuta dall'Occidente. Perché un esito che noi consideriamo favorevole è tutt’altro che scontato. Perché si sta affievolendo la determinazione nel sostegno a Kiev da parte dell’Occidente. Sostegno che da tempo denuncia preoccupanti battute a vuoto. Sino a ieri, era condivisa la convinzione della necessità di ripristinare i confini 'ante 24 febbraio 2022'. Oggi si invoca la 'pace giusta', ma nessun leader politico ne definisce i contenuti. E, infine, perché l’orizzonte che si profila è a tinte fosche. Si punta l’attenzione su un possibile, futuro scenario di crisi focalizzato sulla regione baltica. L’Estonia è probabilmente il paese più esposto, con un 30% di cittadini in possesso di doppio passaporto e con il 25% della popolazione di etnia russa."

Ci sono altri focolai di crisi?

"Ma in Europa, vi sono aree assai più sensibili e nelle quali è molto facile provocare una scintilla in grado di scatenare una grave reazione. Tralascio la Serbia, nazione storicamente e saldamente legata alla Russia, al punto da aver interrotto per solidarietà con Mosca il processo di adesione alla UE, non appena adottate le prime sanzioni contro il Cremlino, e ad aver detto “no” all’ingresso nella Nato. Dovremmo rivolgere lo sguardo alla provincia filoserba di Mitrovica, nel nord del Kosovo, ove tra l’altro è presente il contingente Nato-Kfor per la stabilizzazione regionale, e alla Repubblica Srpska di Bosnia-Erzegovina, di etnia serba, due aree praticamente 'fuori porta', sotto la piena influenza di Belgrado e caratterizzate da una latente quanto cronica instabilità. Io guarderei con molta attenzione in questa direzione."

L’Italia ha i mezzi e le tecnologie giuste per essere protagonista nelle varie missioni?

"Li ha, li ha! O, per meglio dire, li avrebbe. Vede? Negli ultimi venti anni, abbiamo dimensionato le nostre forze armate, lo 'strumento militare', a un tipo di impiego ispirato da due concetti fondamentali. Prima di tutto, che rispondesse a fortissime limitazioni di bilancio, lasciando la priorità nell’attribuzione di risorse ad altri comparti dello stato. In secondo luogo, che consentisse comunque di partecipare alle missioni internazionale nei teatri di crisi per il ripristino o il mantenimento delle condizioni di pace o di stabilità, a tutela degli interessi nazionali. Dotandosi conseguentemente di equipaggiamenti in grado di assolvere quel tipo di missioni, a bassa e bassissima intensità. L’Italia è stata, e continua ad essere, protagonista assoluta, sia per l’onerosità complessiva dell’impegno espresso che per la qualità dell’azione dei nostri militari. Tutto ciò ha contribuito, da un lato, ad accrescere la capacità di impiego nelle missioni di pace (il soldato italiano “benvoluto” non è solo una leggenda), dall’altro a tacitare la coscienza del decisore politico, portato a presentare questo volto 'buono' (o, meglio, 'buonista') del nostro paese. Ciò ha comportato nel tempo l’assunzione di un diffuso e dannoso atteggiamento basato su una visione del quadro strategico internazionale costruita sul rispetto delle prioritarie esigenze di bilancio. Sia chiaro, anche altri partner europei e alleati hanno operato scelte analoghe, nella convinzione, peraltro corretta, che difendersi insieme, ripartendo gli oneri, è anche più sostenibile."

C’è un momento storico in cui si sono maggiormente avvertite le criticità alle quali fa riferimento?

"All’inizio degli anni 2000, in piena fase di professionalizzazione delle forze armate, l’Italia avviò una drastica “dieta dimagrante” della compagine militare per via delle maggiori spese per il personale che il nuovo modello imponeva. Molti reparti venivano soppressi, rinunciando anche ad assetti operativi importanti, specialmente per l’Esercito in quanto più numeroso. Poi, nel 2012, la svolta. L’Italia stava affrontando una crisi economica senza precedenti. Sta di fatto che venne decisa una riduzione degli effettivi da 190.000 a 150.000 unità da effettuare in venti anni, entro il 2032, limite poi anticipato addirittura al 2024 come ulteriore, spontaneo contributo al risanamento economico nazionale da parte dell’amministrazione della Difesa. Un impatto devastante sugli assetti delle forze armate e sul precoce invecchiamento della componente operativa militare la cui età media cresceva rapidamente in quanto, in assenza di paralleli provvedimenti -mai adottati- di ricollocazione degli esuberi in altre amministrazioni o di incentivi per un’uscita anticipata dal servizio da parte del personale più anziano, non restava che reclutare di meno. Ovviamente, analoghe politiche furono adottate pure sui materiali."

Quale settore della Difesa ha sofferto di meno?

"In sostanza, solo Marina e Aeronautica riuscivano a intercettare le risorse necessarie per dotarsi di moderne piattaforme di quinta generazione. Tutto ciò, anche per garantire commesse e, quindi, lavoro alla cantieristica nazionale e alle imprese operanti nei settori della terza e della quarta dimensione. Un indotto di decine di migliaia di tecnici e di lavoratori. L’attuale governo è corso ai ripari bloccando, con provvedimento di legge, l’emorragia di personale e riprendendo in considerazione la componente terrestre. Quindi, tornando alla sua domanda, 'se abbiamo le tecnologie giuste per essere protagonisti nelle missioni', la risposta è 'sì, per il momento'. Ma mi lasci dire che non possiamo pensare alle forze armate o preoccuparci del livello di efficienza della nostra Difesa solo quando le crisi ci stanno per deflagrare fra le mani, quando cioè potrebbe essere ormai troppo tardi. Di solito, ci interessiamo della nostra Nazionale di calcio quando si avvicina la vigilia di un campionato europeo o mondiale. Non è così quando ci si deve occupare della sicurezza del paese. Questa va costruita giorno dopo giorno, consapevoli che, senza una Difesa credibile, non esiste benessere reale."

Alla luce del proliferare di conflitti regionali, mai tanto numerosi dalla fine della Seconda guerra mondiale, ritiene che la NATO sia ancora attuale e necessaria oppure che abbia ormai fatto il suo tempo?

"Sono assolutamente convinto che sia quanto mai necessaria, ma deve cambiare la prospettiva dalla quale noi guardiamo all’Alleanza atlantica. La minaccia globale alla sicurezza non è mai tramontata, ha solo assunto forme diverse dettate non tanto da un confronto est–ovest del mondo, quanto da crisi che possono innescarsi ovunque e per le ragioni più diverse, economiche, etniche, religiose, oppure per esercitare il potere in un determinato quadrante geopolitico. Da parte nostra, non possiamo continuare a fare esclusivo affidamento sul grande alleato. Un tempo gli Stati Uniti erano lo scudo d’Europa perché sul nostro continente si giocava la partita del grande confronto globale. Oggi, questa partita si gioca altrove, nell'Indopacifico. Cosicché, semmai vi sarà un allargamento di una crisi, come quella russo-ucraina, corriamo il rischio di ritrovarci nel mezzo di una guerra senza la preventiva e protettiva rete offerta dall’alleato americano."

In questo scenario cosa può fare l'Europa?

"È necessario che noi europei iniziamo a guardare alla nostra sicurezza in modo, sì, integrato con la Nato, ma in grado di esprimere una capacità autonoma di Difesa. Sinora, l’Europa non ha dato grandi segnali in tal senso. Promuove missioni militari a tutela degli interessi dei paesi membri, ma è ancora balbettante quando si affronta il tema delle politiche di Difesa e sicurezza. Un esempio? Lo strategic kompass, la 'bussola strategica' ideata per fornire una risposta politico-militare all’avvio dell''operazione speciale' russa sembra essere sparita dagli schermi radar. Semplicemente non se ne hanno più notizie. Eppure, nonostante i suoi difetti, l’Europa è la nostra casa comune, una costruzione da portare a termine mattone dopo mattone, con caparbietà e fiducia. Si dovrà probabilmente modificare qualche abitudine, che tocchi pure il nostro benessere, a favore di una maggiore sicurezza e nel rispetto delle libertà democratiche. Senza sicurezza è difficile immaginare un futuro."

In questo momento, che tipo di “allerta” abbiamo?

"Se si riferisce agli 'stati di allerta' delle forze armate, non mi risulta che ultimamente vi siano stati cambiamenti. Se poi volessimo declinare il termine 'allerta' secondo l’emergenza del momento, dovremmo guardare al problema delle scorte di munizioni e alla ricambistica. Per supportare l’Ucraina, stiamo dando fondo alle scorte nazionali, come del resto sta accadendo in quasi tutti i paesi occidentali. Ora la priorità assoluta è il ripianamento dei livelli, pensando anche ad incrementarli.

Lo scenario internazionale sta mutando in fretta e il sistema industriale occidentale non opera, al contrario delle autocrazie, secondo le esigenze di un’economia di guerra. Dobbiamo quindi operare delle scelte. E farlo in fretta. Io spero che il futuro non ci presenti il conto delle decisioni miopi assunte nel recente passato, in tema di Difesa e sicurezza. Potrebbe rivelarsi fatale."

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