La mediatrice culturale

Meloni è chiamata a rimettere in piedi un dialogo per puntellare quel patto transatlantico minato dall'incomunicabilità fra due mondi mai così distanti

La mediatrice culturale
00:00 00:00

Tante caselle «imprevisto», scarse «probabilità». Lungi dall'essere un gioco - comunque più simile al Risiko che al Monopoli - il vertice di Washington che stasera vedrà Giorgia Meloni ospite nella tana bianca di Donald Trump nasconde un'infinità di rischi e una percentuale vicina allo zero di successo. Sempre che con successo si intenda un miracoloso accordo sulla crisi dei dazi. Accordo che da un lato il signore del caos di Mar-a-Lago non sembra voler trovare a breve, così a suo agio nell'incertezza globale da lui seminata, e dall'altro Meloni - che si muove di concerto con Bruxelles ma senza autonomia -, non ha possibilità di definire. Tanto che lo stesso commissario Ue Michael McGrath invita a prepararsi al «no deal». Al contrario, non si esclude che Trump trasformi il bilaterale con la stimata Giorgia in un altro show infarcito di sparate contro l'Ucraina, gli europei o perfino la stessa Italia, mettendo in imbarazzo la presidente del Consiglio. Con queste premesse, la realistica preoccupazione del governo è giustificata, così come la speranza dell'opposizione di un nulla di fatto da poter usare politicamente come «flop» o «sconfitta». Una situazione che vista con gli occhiali micragnosi della politica italiana sembra lose-lose. Ma che è forse la più alta prova a cui un politico è chiamato: rimettere in piedi un dialogo per puntellare quel patto transatlantico minato dall'incomunicabilità fra due mondi mai così distanti. Perché sta qui la vera chiave della missione meloniana di oggi, ovvero in una mediazione culturale, in un tentativo di decrittazione dell'indecifrabile per rispondere al grande enigma: cosa vuole Donald Trump? Non è detto che la Meloni - descritta dalla stampa Usa come whisperer, colei che sussurra all'orecchio del tycoon - riesca ad aprire un canale diretto fra Donald e la von der Leyen; così come non è detto che il suo sforzo diplomatico - minoritario fra i musi duri degli altri leader di Parigi, Berlino e Madrid - diventi la strada maestra della Ue. D'altronde le trattative sono fatte per fallire e rifallire e gli sherpa mettono in conto di non raggiungere subito la vetta.

Non significa mettere le mani avanti, ma avere chiaro il senso storico di quel che accadrà oggi a Washington, dove l'Italia gioca da titolare grazie anche alle capacità umane e politiche della premier. Ricordiamocelo dopo l'eventuale «no deal», quando il primo sventurato di casa nostra parlerà di buchi nell'acqua.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica