
Dietro le celebrazioni del 25 aprile di quest'anno, le ottantesime, si nasconde ancor di più che nel passato una punta di ipocrisia che in taluni casi diviene un iceberg. Il detonatore di tutte le contraddizioni di una parte del Paese è, come spesso accade di questi tempi, Donald Trump.
Perché l'elezione del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti ha esacerbato gli animi e risvegliato, in modo brusco e aggressivo, quello spirito anti americano che si era solo assopito sotto la pelle della sinistra più radicale.
Ed è uno storico e clamoroso paradosso che quest'anno esploderà con ancora più evidenza: festeggiare una Liberazione avvenuta con la fondamentale partecipazione degli angloamericani, facendo finta che non siano mai esistiti. Come sempre e più di sempre, all'acme dell'odio per il Nuovo Continente trumpizzato e muskizzato. Come se non fossero anche loro - i due tycoon - in un modo o nell'altro figli e nipoti di quella società e quella cultura che portarono i giovani americani in Italia a combattere contro il nazifascismo insieme ai partigiani. Invece nel mondo progressista domina una interpretazione schizofrenica della storia e dell'attualità: chi ha liberato l'Italia è stato visto per anni come un «occupante» da cacciare al grido di «Yankee go home» con tanto di sit in fuori dalle basi Nato, le stesse basi Nato delle quali ora, lo stesso mondo progressista, reclama l'importanza per l'Europa, denunciando il disimpegno e il disfattismo dell'America trumpiana.
Coloro i quali domani sfileranno sventolando le bandiere della Palestina o che rimpiangono i sogni di dittature socialiste,
dovrebbero sfilare con le bandiere a stelle e strisce e con i faccioni di Donald Trump, invece che di Che Guevara. La festa della Liberazione dovrebbe innanzitutto liberarsi dai suoi pregiudizi e fare pace con la realtà storica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.