Trump aleggia sul G20, summit in salita. Il bilaterale tra Meloni e Lula

Milei fa ostruzionismo sulle conclusioni. Ma la diplomazia italiana è ottimista. La premier vedrà Modi e Trudeau. Ma a Rio ci sono anche von der Leyen, Sanchez e Macron e si parlerà anche di nomine Ue

Trump aleggia sul G20, summit in salita. Il bilaterale tra Meloni e Lula
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nostro inviato a Rio de Janeiro - Il G20 che si apre in Brasile è il primo vertice internazionale dopo le elezioni americane dello scorso 5 novembre. E pur mancando oltre due mesi all’inauguration day che sancirà formalmente l’inizio del secondo mandato alla Casa Bianca di Donald Trump, è del tutto evidente che la sua presenza aleggia sul summit di Rio de Janeiro. Troppo forte il cambio di paradigma che la nuova amministrazione americana imporrà agli attuali equilibri geopolitici, a partire dai due delicatissimi fronti di Ucraina e Medioriente. Incidendo, inevitabilmente, anche sui rapporti di forza tra Paesi, dentro e fuori l’Europa. Così, non è affatto casuale che gli sherpa dei Venti grandi della terra riuniti in Brasile siano alle prese da giorni con un complicato via libera alle dichiarazioni finali del summit.

Non solo sui passaggi inevitabilmente più critici come il conflitto tra Mosca e Kiev e la crisi mediorientale, ma anche sugli altri dossier all’ordine del giorno del vertice di Rio, a partire dai macro-temi della lotta alla fame e alla povertà. E a puntare i piedi, racconta il Financial Times, è soprattutto l’Argentina di Javier Milei, con obiezioni sulla tassazione contro i cosiddetti «super ricchi» e la parità di genere. A Rio gli Stati Uniti sono ovviamente rappresentati dall’uscente Joe Biden, ma l’impressione è che Milei sia arrivato a minacciare il veto sul comunicato finale facendosi forte proprio dell’imminente passaggio di consegne alla Casa Bianca. D’altra parte, è nelle cose che i leader mondiali più affini al tycoon si sentano ora più legittimati e più pesanti politicamente. La diplomazia italiana, però, non è così pessimista sull’esito finale.

Anche perché, fanno presente, «il G20 ha una membership variegata e con interessi diversi» e la dichiarazione finale «è sempre un esercizio complicato di bilanciamenti». Solo per fare un esempio, del forum fa parte anche la Russia (che ormai dal 2014, anno dell'annessione della Crimea, non è più nel G7) e dunque è evidente che sul conflitto tra Mosca e Kiev ogni parola della dichiarazione finale sia frutto di un compromesso che è il minimo comune denominatore di posizioni lontanissime. A Palazzo Chigi, però, guardano al bicchiere mezzo pieno, convinti che alla fine una quadra si troverà (come avvenuto lo scorso anno al G20 indiano) e ottimisti sul fatto che alla fine il braccio di ferro politico tra Milei e il presidente di turno del G20 Luiz Inácio Lula da Silva avrà un suo punto di caduta.

Proprio domenica, peraltro, Meloni ha avuto un bilaterale con il leader brasiliano. Un faccia a faccia nel quale si è parlato delle priorità della presidenza del G20 (fame e povertà su tutte), sottolineando l’importanza dell’interlocuzione tra G7 e G20. Meloni, fanno notare fonti diplomatiche italiane, «ha molto insistito sull’impostare il summit di Borgo Egnazia come un forum di Paesi che non sono arroccati in una fortezza ma aperti al dialogo». E lo stesso ha fatto Lula, allargando il format del summit di Rio a Paesi ospiti e attori internazionali.

Nell’agenda di Meloni (che dopo il faccia a faccia con Lula ha visitato la città in compagnia della figlia, con una tappa anche al celebre Cristo Redentore) anche bilaterali con l’indiano Narendra Modi e il canadese Justin Trudeau. E poi gli incontri che non seguono la rigidità diplomatica del formato bilaterale, visto che a Rio - dove sono presenti la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, lo spagnolo Pedro Sánchez e il francese Emmanuel Macron - difficilmente non si parlerà delle nomine Ue. Quella che si apre, infatti, sarà probabilmente la settimana decisiva per sciogliere il nodo dei veti incrociati ai sei candidati vice-presidenti esecutivi di von der Leyen.

A partire dal più complesso, quello che riguarda la socialista spagnola Teresa Ribera, nel mirino del Ppe spagnolo per l'alluvione di Valencia. Fino a quello che coinvolge l'italiano Raffaele Fitto, preso di mira da S&D perché esponente di Ecr, famiglia politica che non fa parte della cosiddetta «maggioranza Ursula».

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